Benessere animale negli allevamenti intensivi: come vengono sfruttate le madri
La maternità è un tema delicato e in cui le parole che usiamo giocano un ruolo molto importante.
Amore, cura, protezione, guida, supporto.
Parole simili a queste sono quelle che probabilmente ti verrebbero in mente se ti chiedessimo di pensare a concetti collegati al rapporto madre-figlio.
Eppure l’industria zootecnica usa parole del tutto diverse e, purtroppo, a quelle parole corrispondono azioni e realtà completamente diverse.
Nel migliore dei casi (per usare un eufemismo) una mucca mamma può essere definita “vacca nutrice”, ma più spesso viene invece definita attraverso l’unico organo che interessa all’industria: l’utero.
Uteri sfruttati per una procreazione in batteria, costante, ininterrotta e dolorosa.
Uteri svuotati e riempiti con il solo scopo di aumentare e rendere sempre più profittevole l’allevamento di animali sfruttati a scopo alimentare da mandare al macello.
Animali che, secondo l’industria, non hanno cuore, cervello ed emozioni che legano profondamente una madre al proprio cucciolo.
A quelle mamme l’uomo impedisce di amare, proteggere, guidare e supportare i propri figli.
In questa pagina ti vogliamo raccontare le storie di mucche, scrofe e pecore.
Non ti racconteremo come funzionano gli allevamenti intensivi, né l’impatto che hanno sulla salute umana. Ci concentreremo solo sulla maternità.
Vogliamo provare a farti capire quanto sia terribile essere madre in un allevamento intensivo e vedere i propri cuccioli strappati via in nome della produzione di carne e latte.
Mucche: non c’è abbastanza latte per i vitellini
Una volta separata dal piccolo e privata della sua libertà, viene munta forzatamente più volte al giorno attraverso l’utilizzo di macchinari creati apposta per aumentare la secrezione del latte fino a 40 litri al giorno, una quantità 10 volte maggiore a quella naturale.
Per massimizzare la produzione, la mucca verrà fecondata nuovamente entro tre mesi dal parto, pur essendo di fatto ancora nella fase di allattamento.
Nel periodo in cui produce latte, viene in genere munta per dieci mesi, con solo due mesi di pausa dalla nascita del prossimo vitello.
Questa sfiancante produzione forzata va ad incidere sulla sua salute e fertilità e la mucca sarà completamente esausta dopo circa 5 anni.
Non potendo più produrre latte a sufficienza, non verrà quindi più considerata “profittevole” dall’industria e verrà inviata al macello per essere sostituita da un animale più giovane.
Se il modo di trattare queste mamme ti sta facendo infuriare, sappi che siamo solo agli inizi, nel prossimo paragrafo lascia che ti raccontiamo di un’altra specie di mamme.
Maiali: una vita in gabbia
Guardare le immagini che raccontano la vita delle scrofe (ovvero il maiale femmina) è un viaggio nella sofferenza.
Vengono sfruttatenegli allevamenti con il solo scopo della riproduzione e rinchiuse (anche loro dopo essere state ingravidate artificialmente) nelle cosiddette gabbie “da gestazione”.
Si tratta di luoghi dallo spazio ristretto, dove le scrofe riescono a malapena a muoversi e dove rimarranno fino a quando saranno spostate in una seconda tipologia di gabbie, quelle “da parto”.
Se lasciate libere, le scrofe costruirebbero un nido confortevole di foglie, rami ed erba per i cuccioli, in un luogo sicuro e appartato, ma negli allevamenti intensivi tutto ciò è reso impossibile da quelle gabbie.
Oltre a questo, il sistema delle gabbie causa notevoli problemi alle scrofe.
Immobilizzate in lunghe e interminabili file di gabbie in metallo, sono private di qualunque stimolo naturale, come poter godere dell’aria e del sole, annusare l’erba, muoversi in spazi aperti.
Tutto questo ha un impatto psicologico sugli animali. Provoca molto stress e danni neurologici, che portano a comportamenti aggressivi e di rabbia, generati dalla frustrazione di queste condizioni innaturali e repressive.
A questo si sommano anche possibili incidenti.
Sì perché le madri, a causa dello spazio ristretto in cui sono obbligate a passare tutta la loro vita, rischiano di schiacciare i cuccioli, che condividono con loro questo spazio angusto.
Una volta passate le prime tre-quattro settimane, i cuccioli verranno strappati alle madri, che in natura invece svezzerebbero i piccoli non prima dei tre mesi.
Separate dai cuccioli poco dopo il parto, le scrofe soffriranno sia fisicamente che psicologicamente.
Anche loro sono considerate unicamente un mezzo di produzione e quando non saranno più in grado di dare alla luce quello che per l’industria è il giusto numero di maialini, verranno mandate al macello.
Una realtà cruda e terribile, che abbiamo raccontato anche nelle nostre investigazioni, come quella sulla vita dei maiali negli allevamenti intensivi italiani.
Come vedi, anche per scrofe e maialini l’amore viene distrutto totalmente in favore del profitto.
Ci dispiace dirti che purtroppo la situazione non è molto diversa neanche per la prossima specie di cui vogliamo raccontarti.
Pecore: un trauma continuo
Le pecore sono le madri del cucciolo per eccellenza, ciò che nell’immaginario collettivo rappresenta l’innocenza e il candore.
Per loro l’industria ha trovato anche più modi per sfruttarle:
- per la carne degli agnellini
- per il latte
- per il vello utilizzato nella produzione della lana
Sappiamo che per molte persone la lana viene considerata un materiale naturale che non ha nulla a che fare con lo sfruttamento animale, ma la realtà è che non è così.
Il modo in cui viene ottenuta è molto doloroso e innaturale per le pecore, perché nel corso del tempo sono state selezionate geneticamente in modo da produrre più vello possibile in poco tempo.
Questa modificazione crea molti disagi agli animali che vengono sottoposti in continuazione alla tosatura, altra pratica resa violenta e che spesso provoca ferite importanti.
La vita delle pecore è devastata dal trauma della continua perdita dei loro cuccioli, che vengono strappati alle madri in tempi molto veloci.
Solitamente l’agnello viene allontanato superati i 30 giorni e viene destinato a una fine molto precoce.
In alcuni casi addirittura sono stati documentati viaggi di mezzi che trasportavano agnelli con meno di trenta giorni e il motivo risiede nella tradizione.
Nei luoghi in cui a Pasqua e a Natale si mangia l’agnello, l’industria non può aspettare e degli agnellini neonati sono costretti a viaggi terribili che abbiamo anche documentato seguendo un camion in arrivo dalla Romania:
In questa pagina ti abbiamo descritto solo alcune delle atrocità che le madri devono subire negli allevamenti intensivi.
Ci sarebbe molto altro da sapere e da approfondire, ma il succo non cambierebbe: ciò che succede è inaccettabile e deve essere fermato.
Cosa puoi fare per aiutare le madri negli allevamenti intensivi?
Magari è la prima volta che scopri come vengono trattate le mamme allevate a scopo alimentare, o magari alcune cose già le sapevi.
In entrambi i casi sarai d’accordo con noi che nulla di tutto ciò che succede negli allevamenti intensivi è umano e naturale.
Dove tu vedi una mamma o un essere vivente degno di rispetto e protezione, l’industria vede carne, latte, uova.
Gli animali negli allevamenti sono le creature più dimenticate e ignorate del pianeta ed è per loro che noi ci battiamo ogni giorno.
E la nostra battaglia possiamo portarla avanti solo grazie all’aiuto di persone come te, che scelgono di seguire la propria umanità e di non voltarsi dall’altra parte.
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