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Macello degli orrori di Torino: cade tutto in prescrizione


Se esistono parole che possono descrivere l’orrore dei macelli, sono sicuramente quelle che si leggono nei verbali del processo che si è concluso oggi sul macello degli orrori di via Traves, a Torino. Un processo oscuro, doloroso, terribile.

Un esempio di giustizia malata, testimone di un sistema che ancora una volta non è riuscito a rendere giustizia ai più indifesi, gli animali

Secondo quanto riporta Repubblica infatti, il processo penale si è concluso con la prescrizione per tutti i reati, con proscioglimenti e un’assoluzione proprio per sopravvenuta prescrizione. 

Repubblica riporta che: «gli imputati erano cinque. Per due di loro, Andrea e Roberto Chiabotto, di una famiglia titolare di un’azienda agricola a Castelnuovo Scrivia (Cuneo), è stato operato uno stralcio per le imputazioni relative ai rapporti con una veterinaria addetta ai controlli sugli animali: entrambi, dopo avere versato in totale quattromila euro di risarcimento alla donna, hanno chiesto la messa alla prova». 

Ma questa storia rimarrà impressa nella memoria di chi ha a cuore ciò che accade agli animali rinchiusi in allevamenti e macelli, perché i fatti prescritti sono quanto di più terribile si possa immaginare

Sono più di 200 le pagine da scorrere per poter comprendere che cosa accadeva dietro le porte chiuse del macello di Via Traves e sentire le voci di quei veterinari coraggiosi che hanno deciso di denunciare i maltrattamenti, le ingiustizie e le minacce che hanno ricevuto, tentando di difendere – in punto di morte – la dignità di quelli che vengono considerati solo animali “da reddito”. 

Leggendo le carte è evidente che molti dei testimoni che si susseguono si contraddicono rispetto ad altre dichiarazioni precedenti o cercando di chiudere con un “non ricordo”. 

Sembra una storia costellata di amnesie, ma quando si leggono i fatti contenuti dai verbali è difficile dimenticare

E le parole che raccontano meglio di tutto ciò che avveniva in questo macello le hanno raccontate proprio le due veterinarie che hanno deciso di denunciare i maltrattamenti alle autorità preposte, una di loro è proprio quella che oggi ha ottenuto il risarcimento dalla famiglia Chiabotto, che all’epoca dei fatti gestiva, tramite la società Rosso Spa – attualmente in grave crisi – il macello di Torino di Via Traves

La famiglia Chiabotto, oltre alla gestione del macello, ha anche in gestione allevamenti di bovini e Roberto Chiabotto risulta un membro del consiglio generale di Assocarni, l’associazione nazionale industria e commercio carni e bestiame. 

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Foto scattata in un macello di Bovini in Italia

I terribili maltrattamenti sugli animali nel macello degli orrori 

Uno degli aspetti più sconcertanti della vicenda del mattatoio di Via Traves di Torino è quella dei maltrattamenti animali (oggi prescritti), che avvenivano in più circostanze e sono stati segnalati più volte dagli operatori presenti. 

I maltrattamenti cominciavano fin dall’arrivo al macello, dove addirittura – in più di una occasione – sono stati portati vitellini e animali palesemente malati, con difficoltà respiratorie gravi, sottopeso, malnutriti, in una condizione di sofferenza estrema che, secondo i veterinari interrogati durante il processo, si sarebbe protratta da molto tempo già all’interno dell’allevamento, di proprietà degli stessi allevatori che, all’epoca dei fatti, gestivano il macello con il 90% delle quote, la famiglia Chiabotto. 

TESTIMONE: “…Le date esatte non le ricordo, ma provenienti dall’allevamento dei signori Chiabotto sono arrivati una partita di tori in evidente stato di malnutrizione, erano sopra l’anno, stavano molto male, denutriti, magrissimi, 2 addirittura erano morti sul camion. In questo caso anche il trasportatore disse che erano saliti da soli, ma comunque erano in pessime condizioni di salute. Tanto che alla resa, alla fine, le mezzene pesavano circa 30 chili e quindi quasi poco più di un cane di grossa taglia […] Possono arrivare a 400 chili, quindi capisce che erano magrissimi, malnutriti, dispnea, tosse. Chiedemmo chi li aveva fatti salire e perché”.

Questi cuccioli – che gli stessi veterinari indicavano come impossibilitati a muoversi adeguatamente e a volte totalmente ignari del destino che li attende, «scendono di corsa perché poverini pensano che stanno andando a mangiare», dettagli che solo a leggerli gelano il sangue nelle vene – venivano poi costretti a muoversi all’interno di camminamenti completamente inadeguati. 

GIUDICE: “Invece di camminare dritto facevano inversione?”

TESTIMONE: “Uno con l’altro si stringevano e a volte i sanati fanno inversione, si distruggevano gli arti, si facevano molto male. Quindi in quel caso, per non farli soffrire, li obbligai ad utilizzare il vecchio camminamento.”

E come se non bastasse, oltre alle fratture e alle sofferenze estreme che tutto questo comportava, i veterinari denunciano anche che gli operatori utilizzavano il pungolo elettrico sugli animali, un pratica non vietata ma regolata: non è possibile infatti usarli “a piacimento”, ma solo su bovini adulti, non nella zona anale o perianale e mai quando gli animali sono bagnati, altrimenti questa condizione avrebbe causato ulteriori e inutili sofferenze, amplificate e incentivate proprio da una struttura già inadeguata. 

PUBBLICO MINISTERO: “Per farli salire… per indirizzarli verso queste gabbie usavano anche degli strumenti particolari?”

TESTIMONE: “Sì, sì, usavano il pungolo elettrico ripetutamente, perché comunque l’animale non entrava, quindi urlavano, piangevano, era terribile.”

Secondo le denunce dei veterinari infatti, i proprietari del macello avrebbero deciso di modificare il percorso che, dal momento in cui gli animali scendono dal trasporto fino all’ingresso nella camera di stordimento, li porta al macello. Questi camminamenti dovrebbero essere costruiti in modo da non creare sofferenze negli animali, non creare ansia o preoccupazione, evitare casi di fughe (che comunque dal macello di Via Traves a Torino si sono verificate, e non poche volte, ndr) e di panico. 

PUBBLICO MINISTERO: “Ma il pungolo elettrico è anche ammissibile o è una forma di maltrattamento?”

TESTIMONE: “Non è ammissibile nei sanati, quindi sotto l’anno no, poi per incanalarlo. Io lo vedevo….”

PUBBLICO MINISTERO: “Lei lo ha visto utilizzare come?”

TESTIMONE: “Ripetutamente. Ma poi oltretutto utilizzavano questo pungolo, ma se l’animale non va avanti perché il camminamento non va bene puoi usarlo fino a domani, non va avanti. Ho visto fare docciature gelate a -3° perché la carne dopo è più bella, ho visto fare delle cose del genere, ho fatto anche un verbale su quello.”

Oltre alle zampe rotte, alla paura, al rumore, all’essere circondati da persone, da odori e da oggetti sconosciuti, gli animali subivano anche ulteriori maltrattamenti, come quelli raccontati dalle veterinarie nel caso di alcuni bovini – tori in particolare – che venivano lasciati al freddo, a -3 gradi, all’esterno del macello, completamente ricoperti di acqua ghiacciata perché, secondo le teorie dei proprietari del macello, «in questo modo la carne è più bella, più rossa», teorie che, ovviamente, non avevano alcun fondamento nella realtà e che sono state aspramente contestate proprio dai veterinari che lavoravano nel macello di Via Traves a Torino. 

TESTIMONE: “Il signor Roberto Chiabotto faceva docciare con acqua gelata questi capi dal palatore […] al che io andai e gli chiesi cosa stesse facendo, fa freddo, hanno freddissimo. Lui era in mezzo perché il veterinario ti dice una cosa, ma ovviamente il signor Chiabotto è sempre il tuo capo, tra virgolette… però smise di fare questa doccia perché veramente c’erano -3°, poi un getto potentissimo di acqua addosso. Quando io parlai al signor Chiabotto mi disse che era per far venire la carne più rossa. Io gli dissi però adesso non è ancora carne, sono animali, e quindi vanno rispettate le leggi, io sono il veterinario […]“.

Il camminamento era stato modificato, senza consultarsi con l’autorità veterinaria prima di procedere ai lavori, per fare spazio a una seconda gabbia di macellazione, che sarebbe stata poi utilizzata dalla comunità ebraica per la macellazione kosher, una pratica diversa dalla macellazione standard industriale. 

Uno degli aspetti più controversi di questa storia riguarda proprio la macellazione rituale Kosher, che – secondo quanto affermato dai veterinari nel processo – non veniva praticata adeguatamente. Nonostante infatti esistano per legge le deroghe allo stordimento per la macellazione rituale religiosa (sia Kosher sia Halal) non esistono deroghe su come deve essere fatto il taglio che dovrebbe uccidere e dissanguare l’animale senza causare ulteriori sofferenze. 

Nel macello di Via Traves invece accadevano fatti incredibili, come raccontano i veterinari, come il caso di un toro che, dopo essere stato introdotto nella gabbia per la macellazione ed  essere stato sgozzato, si è alzato camminando e urlando di dolore. E non si tratta nemmeno di un unico caso. 

TESTIMONE: “50 capi il veterinario più forte, che non sono io, non ce la fa. Praticamente lì era fatta male perché la gabbia aveva un rullo che andava da qua a laggiù, questo rullo, dove l’animale poi dopo che era…gli era stata tagliata la gola veniva…

GIUDICE: “Ancora vivo quindi?”

TESTIMONE: ” 7 minuti per morire ci impiegava. Veniva adagiato su questo rullo. Io mi presi… parlai al signor Chiabotto Roberto e gli dissi non va bene perché un contro è se tu lo appendi e allora il sangue cola in fretta, ma se tu lo lasci sul rullo c’è il rischio di coagulo. L’animale con la testa sgozzata si è alzato in piedi e camminava, li sono stata spintonata fuori da Chiabotto, da lì è iniziato… sono stata presa a male parole. Perché io non potevo vedere una cosa del genere, l’animale… ci sono le foto, i miei colleghi hanno le foto, si è rialzato in piedi, perché stando sdraiato… a parte che muoiono soffocati, quindi sentono il taglio, stanno soffocando, nello stesso tempo essendo adagiati sdraiati può ricircolare il sangue, se ricircola il sangue gli va ossigeno al cervello, si alzano in piedi. Avevo questo toro con la testa sgozzata che camminava e urlava dal male. Però a quel punto non gli si può più sparare perché è pericoloso anche per l’operatore, quindi con un bastone… io sono stata lanciata fuori da Chiabotto, non ho più…”

Lo shock dei veterinari e degli operatori era tale che anche i lavoratori e i trasportatori piangevano di fronte a una scena tanto terribile, definita «disumana». 

TESTIMONE: “Il mio lavoro, la legge deroga alla iugulazione, ma tutto il resto non deroga. Perché forse in certi momenti sono più forte di lei (la mia collega) poi anch’io ho avuto dei momenti in cui sono scoppiata a piangere, perché erano spettacoli inguardabili, ma piangevano anche i trasportatori, che sono dei contadini che non hanno nessuna… Cioè erano tutti in lacrime che venivano da noi e chiedevano Dottoressa, ma perché gli fate fare questa cosa?”.

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Foto scattata in un macello di Bovini in Italia

Le minacce ai veterinari 

Oltre alla difficoltà di dover assistere a scene crudeli e terribili, per i veterinari che osavano opporsi non si trattava certo di una vita facile. 

Ancora oggi, secondo quanto raccontato ad Animal Equality da Francesco Aragno, sindacalista che sta seguendo la vertenza delle due veterinarie coinvolte, «il macello risulta chiuso e ai due pubblici ufficiali non è consentito entrare, mentre fino a qualche mese fa venivano videosorvegliate, impossibilitate a compiere il proprio lavoro, veniva loro impedito di firmare verbali o effettuare controlli. Erano confinate all’interno del macello, con quello che – a mio parere – è anche uno spreco di denaro pubblico, perché le due veterinarie vengono regolarmente retribuite nonostante al momento non stiano effettuando un servizio a tutela degli animali e dei cittadini». 

Oltre a queste conseguenze – da stabilire rimane ancora il nesso causale tra le loro denunce e il trattamento lavorativo che è stato riservato loro in seguito – ci sono state anche pesanti conseguenze all’epoca dei fatti oggetto del processo.

Secondo quanto riportato nelle aule del tribunale di Torino infatti, le veterinarie sarebbero state minacciate, insultate, impossibilitate a verificare lo svolgimento della macellazione rituale kosher perché considerate scomode, oltre ad aver ricevuto pressioni che sono arrivate direttamente alle “orecchie” dei loro dirigenti ASL da parte degli avvocati della famiglia Chiabotto. 

TESTIMONE: “Sia Chiabotto Roberto, sia Chiabotto Andrea. Il signor Chiabotto Roberto con un avvocato […] chiese la sospensione mia e della mia collega perché comunque facevamo troppe multe, gli creavamo un danno economico, scrisse all’Asl.”

Secondo quanto raccontato dalle veterinarie coinvolte, si sono verificate delle vere e proprie intimidazioni: 

PUBBLICO MINISTERO: “Lei sa se la sua collega abbia contestato a qualcuno dei Chiabotto queste modalità di macellazione in riferimento alla macellazione ebraica, se si sa se questo qualcuno abbia in qualche modo reagito alla dottoressa?

TESTIMONE: “Sì,sì, lei ha contestato, come abbiamo contestato più o meno tutti, forse qualcuno di noi in maniera più decisa, sì ci sono state delle male parole, ma non solo nei confronti suoi (della collega veterinaria) , ma anche nei miei confronti, ci hanno buttato fuori dalla sala in tempoi diversi. Poi, appunto, ci sono state anche delle intimidazioni, cioè, non erano solo delle brutte frasi, ma anche delle intimidazioni.”

PUBBLICO MINISTERO: “Del tipo?”

TESTIMONE: “Va beh quello che potevi farti voler bene, ma ti farò diventare una scribacchina a 1000 euro al mese […]”.

E come se non bastasse, una di loro ha anche denunciato di aver avuto le gomme della macchina tagliate quando si recava al macello, mentre anche i colleghi interrogati durante il processo hanno sostenuto l’operato delle due veterinarie: 

TESTIMONE: “Avevo espresso dicendo che quella era una minaccia. Secondo me allora non ravvedevo nessuna stranezza, irregolarità, eccesso nel comportamento delle due colleghe, per cui per me il sentire che mi arriva da fuori una richiesta di rimozione di due colleghi la interpreto come una minaccia”.

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Foto scattata in un macello di Bovini in Italia

Gli orrori dei macelli non finiscono qui

Si tratta di fatti gravissimi, che hanno impedito di tutelare gli animali e i cittadini, e reso molto complicato per due pubblici ufficiali svolgere al meglio il proprio lavoro. 

I veterinari sono proprio preposti alla tutela delle norme che regolano la macellazione, sia per quanto riguarda il benessere animale, sia per quanto riguarda la sicurezza dei prodotti. 

Nel caso del macello di via Traves vi sono molti indizi che fanno sospettare una gestione sconsiderata, che racconta di allevatori che “ci provano”, che mandano al macello animali già sofferenti, cuccioli che non dovevano nemmeno essere sottoposti a tutto questo. È una storia che parla di intimidazioni e che più di ogni altra fa emergere in tutta la sua verità una frase che Animal Equality e le tante altre associazioni impegnate per la protezione degli animali ripetono sempre: i macelli sono luoghi a porte chiuse, nascosti. 

In questi luoghi i veterinari onesti sono lasciati da soli, alla mercé di persone che considerano gli animali solo un prodotto, un mezzo per guadagnare profitto e quindi oggetti da mandare comunque al macello, a qualunque costo. È il profitto che viene prima di tutto, a volte anche prima delle leggi. 

Dal 2017 Animal Equality ha in corso una campagna per chiedere una riforma delle leggi che regolano la macellazione: la cancellazione di tutte le deroghe – comprese quelle per le macellazioni rituali Halal e Kosher – un aumento dei controlli e l’inasprimento delle pene a tutela degli animali e dei veterinari. 

La tragica storia del macello di Via Traves di Torino non fa che richiamare ancora più forte l’esigenza di queste leggi. Ora più che mai è il momento di cambiare. Se vogliamo giustizia per quelli che sono a tutti gli effetti “esseri senzienti” non possiamo più accettare prescrizioni o controlli parziali, veterinari abbandonati e minacciati, animali brutalizzati in ogni modo e macellazioni non a norma in condizioni igienico-sanitarie discutibili. 

Aiutaci a cambiare tutto questo, firma subito la petizione. 


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