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Allevamenti intensivi: gli studi e i casi che mostrano l’impatto sulla salute umana


L’allevamento oltre ad essere responsabile di estrema sofferenza per gli animali ha un grave impatto sulla salute, in modi anche inaspettati, scopriamoli insieme

Scritto da: Elisa Camporeale, Psicologa. Si occupa di valutazione e riabilitazione neuropsicologica, psicologia clinica e del rapporto uomo-animale.

Le condizioni in cui gli animali sono costretti negli allevamenti, grazie anche alle inchieste delle organizzazioni come Animal Equality, sono ormai note pubblicamente, così come sono sempre più spesso sotto i riflettori i costi ambientali dell’allevamento di animali.

Oggi però ci occupiamo di un altro aspetto dell’allevamento intensivo, ovvero il suo impatto sulla salute umana. 

Tra le conseguenze più eclatanti degli allevamenti sulla salute umana, ci sono le epidemie di influenza aviaria H5N1, di influenza suina H1N1 [Dalle pandemie alla perdita di biodiversità: dove ci sta portando il consumo di carne – WWF Italia, 2021 E. Alessi, M. Antonelli, F. Ferroni, I. Pratesi], l’antibiotico-resistenza, i danni da inalazione di gas e da consumo di acqua contaminata dai nitrati e l’inquinamento atmosferico, prodotto attraverso processi chimico-fisici tipici delle attività agricole, ma vediamo tutte queste problematiche nel dettagli.  

La popolazione maggiormente colpita è quella che vive in prossimità degli allevamenti, negli Stati Uniti, ad esempio, sono in prevalenza comunità rurali economicamente svantaggiate e con un basso livello socio-culturale. Si tratta di una vera e propria discriminazione eco-sociale, e di un’«ingiustizia ambientale», come viene definita. In Italia, invece, le aree vicine agli allevamenti sono anche popolate da classi benestanti, soprattutto nelle regioni ad alta concentrazione di queste strutture, come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.

Alcuni degli studi che dimostrano l’impatto degli allevamenti sulla salute umana

Nell’Iowa, primo stato americano per la produzione di carne suina, il neurologo e professore Kilburn Kaye (Università della California del Sud) ha eseguito diversi studi sul collegamento tra allevamenti e malattie. Nella sua esperienza di diagnosi di malattie neurologiche ha riscontrato alcuni sintomi comuni tra coloro che vivevano nelle vicinanze degli allevamenti suini in Iowa, e dunque esposti a gas tossici (ammoniaca, anidride carbonica, anidride solforosa, metano e particolato primario) evaporati dalle vasche con gli scarti degli animali morti. I sintomi correlati a questi danni erano: problemi respiratori (bronchiti, asma, polmoniti), diarrea, epistassi (sangue dal naso), crisi epilettiche, problemi di equilibrio, affaticamento, mal di testa, perdita dell’appetito, vertigini, deficit di memoria e linguaggio, alterazioni dell’umore, sintomi neuropsichiatrici, disturbi della deambulazione e di equilibrio, neuropatie, sintomi simil-influenzali. Nel complesso i danni al cervello sono risultati irreversibili. In un altro studio di Kelley Donham, direttore del Centro per la Salute e Sicurezza dell’Agricoltura (Università dell’Iowa), è emersa un’elevata incidenza di depressione, ansia e affaticamento tra gli abitanti dei centri vicini agli allevamenti[Donham, K. J., Wing, S., Osterberg, D., Flora, J. L., Hodne, C., Thu, K. M., & Thorne, P. S. (2007). Community health and socioeconomic issues surrounding concentrated animal feeding operations. Environmental health perspectives, 115(2), 317-320.]

Uno studio del 2009 della Mayo Clinic, tra le maggiori cliniche americane che si occupa di ricerca medica [Lachance, D. H., Lennon, V. A., Pittock, S. J., Tracy, J. A., Krecke, K. N., Amrami, K. K., … & Dyck, P. J. B. (2010). An outbreak of neurological autoimmunity with polyradiculoneuropathy in workers exposed to aerosolised porcine neural tissue: a descriptive study. The Lancet Neurology, 9(1), 55-66.] ha indagato una sindrome neurologica subacuta che ha colpito alcuni lavoratori di mattatoi di suini in Minnesota e Iowa, in seguito all’esposizione di antigeni contenuti nel tessuto cerebrale dei suini che a causa della macellazione veniva nebulizzata nell’aria.

Gli esami strumentali e funzionali hanno rilevato il coinvolgimento delle piccole e grandi fibre nervose, inoltre, la risonanza magnetica ha evidenziato anormalità a livello delle strutture cerebrali più profonde che controllano il movimento (gangli della base). Grazie alla biopsia delle fibre nervose sono emersi sintomi di: demielinizzazione (danno alla guaina di mielina intorno ai nervi) di media entità, degenerazione assonale e infiammazione dei vasi sanguigni.

Il quadro neurologico emerso indica un disturbo di origine autoimmune, probabilmente causato dalla vulnerabilità della barriera cerebrale: il liquido cerebrospinale del 75% dei lavoratori conteneva gli anticorpi specifici per la proteina precursore della mielina, i quali quindi attaccavano il sistema nervoso periferico, causando una patologia autoimmune.

Le caratteristiche della malattia sono: disabilità motoria, disturbi del sistema nervoso autonomo (formicolio), debolezza e affaticamento. [Lachance DH, Lennon VA, Pittock SJ, Tracy JA, Krecke KN, Amrami KK, Poeschla EM, Orenstein R, Scheithauer BW, Sejvar JJ, Holzbauer S, Devries AS, Dyck PJ. An outbreak of neurological autoimmunity with polyradiculoneuropathy in workers exposed to aerosolised porcine neural tissue: a descriptive study. Lancet Neurol. 2010 Jan;9(1):55-66. doi: 10.1016/S1474-4422(09)70296-0. Epub 2009 Nov 27. PMID: 19945916.]

Il secondo Stato americano per la produzione di carne suina è il North Carolina (USA), dove la testimonianza dell’ex-allevatore D. Webb riguardo all’odore nauseante e insopportabile vicino agli allevamenti ha spianato la strada per alcuni studi sulla qualità del terreno e dell’aria nella zona.

È emersa la presenza, nei fiumi circostanti, di batteri (E. Coli, Enterococcus, Salmonella, Campylobacter, Giardia) provenienti dalle feci animali, e questa situazione drammatica viene in parte spiegata dalla difficoltà economica nello smaltimento dei rifiuti degli allevamenti: data la grande quantità di scarti prodotti, i costi di trasporto via camion o gasdotto sarebbero troppo elevati, quindi i rifiuti (es. letame) riempiono le grosse vasche, vengono convogliati in grosse pompe e vaporizzatori che innaffiano i prati circostanti, contaminando il suolo. 

Sono rilevanti anche i cambiamenti sociali nella qualità della vita quotidiana causati dalla presenza di questi odori insopportabili, ad esempio gli abitanti delle comunità vicine agli allevamenti spesso sono costretti a tenere le finestre chiuse nonostante le alte temperature, e a impedire ai bambini di giocare all’esterno; pertanto, la casa diventa un rifugio per scappare dall’ambiente esterno. [Greger, M., & Koneswaran, G. (2010). The public health impacts of concentrated animal feeding operations on local communities. Family & community health, 33(1), 11-20.
Hribar, C. (2010). Understanding concentrated animal feeding operations and their impact on communities.]

Altri dati relativi alle conseguenze dannose di questo tipo di industria alimentare si riferiscono ad alcune aree del Wisconsin (USA), dove nel 2019 sono state analizzate le acque nelle vicinanze di allevamenti di mucche da latte: i risultati hanno evidenziato la presenza di nitrati al di sopra del livello consentito, come conseguenza del filtraggio del letame di circa 4,000 animali nel terreno e nelle acque freatiche. Nancy Eggleston, supervisore della salute ambientale per la zona, ha dichiarato che tra gli effetti principali degli alti livelli di nitrati (derivati dall’azoto) sulla salute umana compaiono tumori, malattie della tiroide, rischio di epatiti, asma, difetti alla nascita, morti premature, problemi gastrointestinali, tifo, infertilità, aborti, e la “blue baby syndrome”, una condizione fatale che causa un arresto del trasporto di ossigeno nel sangue. 

Non vanno dimenticati i danni causati dall’utilizzo di PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), composti chimici industriali tossici (insetticidi, pesticidi, erbicidi, fungicidi) per animali e umani. L’esposizione dell’uomo avviene attraverso l’inalazione e l’ingestione: le acque contaminate da questi elementi tossici arrivano nel suolo, sulla vegetazione, sulle coltivazioni, agli animali degli allevamenti e quindi agli alimenti che mangiamo.

Un esempio eloquente riguarda il latte: le mucche allevate producono letame, che viene scaricato sul suolo, assorbito dal terreno contaminato dai PFAS; lo stesso terreno viene utilizzato per nutrire le mucche che producono, accumulando nel corpo e nel sangue queste sostanze tossiche (il cosiddetto bioaccumulo), il latte, ovvero l’alimento più assunto dalla maggior parte della popolazione occidentale, soprattutto dai bambini. I pesticidi e i fertilizzanti usati sui campi che nutrono gli animali, pertanto, sono tra i principali responsabili dell’inquinamento delle terre. 

L’inquinamento degli allevamenti intensivi in Italia

Una delle vicende italiane più rilevanti in merito all’inquinamento dei PFAS si è svolta in Veneto, a Trissino, dove nel 2020 il Tribunale di Vicenza ha ritenuto responsabile la società Miteni per aver inquinato la seconda falda acquifera europea più grande.

Nel 2013 il Cnr (Centro Nazionale per le Ricerche) ha riscontrato la presenza di livelli elevati di Pfas nel fiume Po, in prevalenza nella parte veneta, tutte zone sede di piccole attività agricole e allevamenti, pertanto sono stati analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) alcuni prodotti provenienti da quelle aree (es. fegato di suino, uova, pesce, mais, latte), risultati contaminati.

Greenpeace e Isde (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente) hanno documentato i problemi sanitari cronici dovuti alla presenza di Pfas nel sangue, sottolineandone la capacità di mutare il sistema linfatico nell’uomo. 

Le patologie maggiormente correlate all’esposizione prolungata a queste sostanze sono: difficoltà respiratorie, elevato rischio di tumori (soprattutto pancreas e fegato), colesterolo alto, diabete, malattie della tiroide, ipertensione, patologie neonatali (anomalie del sistema nervoso, circolatorio e genetiche), ansia e depressione.

Tra i sintomi neurologici caratteristici di alcuni pesticidi neurotossici, in grado di influenzare la chimica cerebrale, si evidenziano: formicolii e parestesie (mancanza di sensibilità agli arti), tremore, vertigini, emicrania, neuropatie, deficit cognitivi (attenzione, memoria, linguaggio), aumentato rischio di sviluppare malattie neurodegenerative (es. Alzheimer e Parkinson). 

Ed è importante sottolineare che i PFAS non si degradano facilmente nell’ambiente, anzi, possono persistere per anni, addirittura secoli, continuando a intossicare gli esseri viventi. 

Volgendo lo sguardo alla situazione italiana, scopriamo che la realtà è la stessa, e ci illudiamo di essere migliori solo perché mancano i fondi per la ricerca. 

Uno studio di The Lancet Planetary Health ha stilato una classifica relative alle morti premature legate all’inquinamento atmosferico, causa di malattie respiratorie e cardiovascolari, nello specifico a due sostanze (PM 2.5 = particolato sottile, NO2 = biossido di azoto): le città in testa sono Brescia e Bergamo, ma compaiono anche Milano e Torino.

Guarda il nostro reportage nelle terre inquinate dagli allevamenti in Pianura Padana:

Come incidono gli allevamenti intensivi sulla qualità dell’aria?

L’indice di qualità dell’aria, stabilito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, è basato sulla concentrazione di particolato, metano, ammoniaca, biossido di azoto, anidride solforosa e ozono. Le attività agricole (allevamenti inclusi) producono prevalentemente ammoniaca, biossido di azoto, metano e particolato.

Quali sono le cause principali di questo inquinamento?

Uno studio di Greenpeace e ISPRA ha evidenziato come cause primarie l’impianto di  riscaldamento utilizzato negli appartamenti e gli allevamenti intensivi, con un legame direttamente proporzionale al numero di animali allevati.

ARPA Lombardia (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) ha indagato i settori responsabili dell’inquinamento atmosferico, distinguendo tra particolato primario (le cosiddette polveri sottili) e secondario (prodotto da processi chimico-fisici che coinvolgono gas precursori, tra cui anidride solforosa, biossido di azoto e ammoniaca), generato prevalentemente da allevamenti intensivi e agricoltura.

Cosa è emerso dall’indagine?

In Lombardia il particolato secondario è più elevato di quello primario, nello specifico gli allevamenti lombardi sono responsabili di circa l’85% delle emissioni di ammoniaca, derivanti soprattutto dalla diffusione di liquami zootecnici.

Quando scegliamo cosa consumare, e anche cosa mangiare, è importante considerare tutte le conseguenze che la nostra scelta comporta, nel caso della carne e degli altri alimenti di origine animale il costo è altissimo e non solo per gli animali, ma anche per l’ambiente e per la nostra stessa salute.

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