Antibiotici negli allevamenti: in Italia il doppio della media U.E. Un problema di tutti, indipendentemente dalla dieta.
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha di recente pubblicato il suo ultimo rapporto: siamo di nuovo fra i tre maggiori consumatori di antibiotici negli allevamenti. Un dato di un peso non indifferente se si pensa che gli antibiotici utilizzati negli allevamenti costituiscono il 71% di tutti gli antibiotici venduti in Italia. Ma c’è dell’altro: il consumo di antibiotici è tornato ad aumentare, per la prima volta dal 2010. Andiamo con ordine: nel report EMA, le vendite sono calcolate in termini di quantità di principio attivo utilizzato per unità di bestiame, abbreviato a PCU (dal termine in inglese “Population Correction Unit“). Nell’ultimo anno analizzato, il 2014, la media delle 29 nazioni europee si attestava sui 152mg per Pcu. In Italia, siamo a più del doppio: 359.9mg per Pcu.
Uno dei tanti bidoni dell’immondizia colmo di flaconi di antibiotici fotografato dai nostri investigatori negli allevamenti intensivi.
Perché dovrebbe rappresentare un problema?
L’uomo ha imparato ad utilizzare gli antibiotici per trattare delle patologie molto gravi, sia su di se’, che per curare i propri animali. Ma in zootecnica gli antibiotici non sono usati solo per curare gli animali malati. Gli spazi estremamente ristretti in cui vengono concentrati gli animali negli allevamenti possono favorire lo sviluppo ed una rapidissima diffusione di eventuali epidemie. Per contrastarle e soprattutto prevenirle, la maggior parte degli allevatori si avvale degli antibiotici. Benchè l’utilizzo di questo tipo di farmaco come stimolante della crescita dell’animale sia invece bandito da qualche anno all’interno dell’Unione Europea, l’aggiunta sistematica di questi farmaci ai mangimi animali favorisce comunque lo scambio di geni per la resistenza agli antibiotici tra batteri dell’intestino degli animali, aumentando di conseguenza anche il rischio di antibiotico-resistenza per gli esseri umani.
In altre parole, l’utilizzo di antibiotici nell’allevamento favorisce lo sviluppo di tipologie di batteri su cui gli antibiotici che utilizziamo per curarci non avrebbero più effetto.
Non è una preoccupazione infondata: all’interno dell’Unione Europea, la resistenza agli antibiotici causa circa 25 mila decessi ogni anno ed una spesa sanitaria di 1.5 miliardi. Un problema così serio che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato a definirla come “una delle maggiori minacce per la salute globale“.
È un problema che riguarda anche chi segue una dieta a base vegetale?
Sì. Purtroppo la diffusione dagli allevamenti alle persone è molto semplice. Oltre ad avvenire attraverso il residuo di batteri nella carne macellata e lavorata, i batteri immuni agli antibiotici possono diffondersi anche attraverso gli impianti di ventilazione degli allevamenti, attraverso i lavoratori stessi che operano in queste strutture e soprattutto durante i trasporti di questi animali verso altri allevamenti o verso i macelli.
In questo senso, i batteri immuni prodotti dall’utilizzo sconsiderato di antibiotici a scopo profilattico (preventivo) negli allevamenti, sono un problema di tutti.
Non solo un problema per salute: un problema del pianeta.
Esiste un legame diretto fra la somministrazione massiccia di antibiotici all’interno degli allevamenti e le relative emissioni di gas ad affetto serra. È stato infatti provato da studi scientifici come gli allevamenti intensivi che utilizzano un maggior quantitativo di farmaci antibiotici siano anche quelli che contribuiscono maggiormente alla produzione di sostanze nocive per la nostra atmosfera. Un esempio? Le emissioni di metano in questi allevamenti, mediamente, raddoppiano.
Cosa possiamo fare?
Prima di tutto, dobbiamo iniziare a considerare di ridurre il più possibile il nostro consumo di carne e di derivati animali. In un mondo regolato dalla legge della domanda e dell’offerta, se la richiesta cala, l’offerta si adegua. In questo senso, lasciare la carne ed i prodotti di origine animale fuori dal proprio carrello della spesa è di sicuro la scelta con il maggiore impatto positivo. Un impatto positivo sia sulla nostra salute, che sulla sofferenza degli animali e del pianeta.