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I deputati ci attaccano, ma la verità è molto diversa

Novembre 6, 2019 Aggiornato: Marzo 12, 2024

Solo una settimana fa abbiamo rilasciato il nostro mini-documentario sugli allevamenti di bufale per la produzione di mozzarella, considerata una delle “eccellenze” del Made in Italy.

A differenza di quello che racconta l’industria, le nostre immagini hanno mostrato condizioni igienico-sanitarie terribili, bufale immerse in fango e feci, bufalini morti abbandonati e un drammatico impatto ambientale, documentato anche dalle immagini di Four Paws – organizzazione tedesca per la protezione degli animali che ci ha gentilmente concesso le immagini – e da Paolo Bernini, ex parlamentare che ha condotto numerose ispezioni tra il 2013 e il 2018.

Nel nostro video apparivano anche Giulia Innocenzi, giornalista che ha documentato con numerose inchieste la situazione degli allevamenti e dei macelli di bufalini, il veterinario Enrico Moriconi e l’avvocato Manuela Giacomini, esperta in diritto degli animali. 

L’intento del video era chiarissimo: raccontare con un approfondimento ciò che è stato trovato in allevamenti in Campania e nel Nord Italia nel corso degli anni, facendo un excursus che racconta le situazioni documentate nel tempo da veterinari, avvocati, giornalisti del servizio pubblico e organizzazioni non governative che hanno come scopo proteggere animali e ambiente. 

Nonostante ciò, sia il consigliere M5S della Regione Campania Michele Cammarano, sia alcuni deputati M5S della Commissione agricoltura alla Camera si sono scagliati contro il nostro video tramite una nota, accusandoci di generalizzare e danneggiare un comparto “sano” e “senza eguali”. 

Riteniamo che siano doverose delle precisazioni. I nostri investigatori lavorano da anni non solo per tutelare gli animali ma anche per fare in modo che la comunicazione sia sempre trasparente, corretta e rigorosa nei confronti dei cittadini. A differenza dell’industria, noi non raccontiamo una realtà edulcorata attraverso immagini pubblicitarie, ma mostriamo quello che vediamo dietro le lenti di macchine fotografiche e telecamere, registrate e tracciabili, costantemente messe a disposizione delle autorità competenti, che siano le istituzioni o la Procura della Repubblica. 

Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di rispondere punto per punto alla nota dei deputati della Commissione agricoltura.

LA NOSTRA RISPOSTA, PUNTO PER PUNTO

Su questo punto i deputati della commissione agricoltura ci deludono ampiamente.

Evidentemente non conoscono a fondo il significato di un video di approfondimento, un importante mezzo di comunicazione e informazione che viene utilizzato sia da organizzazioni non profit come Animal Equality sia da numerose redazioni giornalistiche.

Quando si “incappa” in un fenomeno documentato da più fonti e in un arco temporale lungo, è assolutamente legittimo (forse doveroso, nel nostro caso) mostrare un quadro completo, fornire ai cittadini un racconto esaustivo, che spieghi in modo approfondito il tema che si è scelto di analizzare.

Non si tratta di creare allarmismo o generalizzare, quanto di fare un lavoro di informazione completo e corretto, che dia voce a esperti – veterinari, legali, persone che hanno realizzato inchieste o ispezioni – che possano raccontare quello che hanno visto e spiegare al pubblico i problemi che gli animali vivono quotidianamente in questi allevamenti, per non parlare dell’impatto ambientale sul territorio circostante.

Non allarmismo quindi, ma informazione, diffusa anche da Beppe Grillo, che in quanto grande amico di Gianroberto Casaleggio (apertamente schierato contro la caccia e per gli animali) e fondatore del Movimento, si ricorda benissimo che il tema è sempre stato tra i punti cardine del Movimento 5 Stelle. Almeno fino a oggi?

Siamo felici di apprendere che anche i deputati del M5S in Commissione agricoltura capiscano quanto siano sbagliate le pratiche che abbiamo mostrato nel nostro mini-documentario.

Ci preme però specificare che quelle immagini sono state raccolte nel corso di anni dai nostri investigatori e dagli investigatori di Four Paws, che anche nel 2018 hanno documentato problematiche simili. Inoltre, nel corso del tempo sono stati trasmessi numerosi servizi giornalistici, in primis proprio da Giulia Innocenzi nella sua trasmissione “Animali Come Noi” che hanno mostrato i problemi di questo comparto.

La domanda quindi è: dov’erano questi deputati quando sono usciti questi servizi? Come si sono adoperati per verificare che le leggi fossero rispettate? Inoltre, forse i deputati non ne sono a conoscenza, ma stiamo parlando di leggi che sono tutto meno che severissime.

Deduciamo che i parlamentari autori della nota – e quindi anche la Commissione agricoltura – abbiano a cuore i problemi che abbiamo evidenziato.

Chiediamo però una cosa molto importante. I parlamentari della Repubblica non sono solo cittadini, sono deputati eletti proprio dai cittadini per analizzare, informarsi, migliorare le leggi, stenderne di nuove, risolvere buchi e incongruenze normative, insomma, andare oltre semplici affermazioni.

Un parlamentare non può “pretendere”, un parlamentare ha il POTERE di agire per fare in modo che queste problematiche non si ripetano e che anzi, si risolvano.

Pertanto, non possiamo limitarci ad accettare questa dichiarazione, ma chiediamo ai parlamentari in oggetto, che cosa è stato fatto concretamente in questa direzione? Che cosa stanno facendo per risolvere problemi di questo genere? Che cosa state facendo per migliorare e rendere più efficaci ed efficienti i controlli? Quali sono le norme su cui state lavorando al riguardo? Come pensate di migliorare gli standard di benessere animale negli allevamenti di bufale? Quali sono le azioni che avete intenzione di intraprendere per tutelare gli animali?

Su questo punto non possiamo che ritenerci perplessi. A fronte dell’accusa a generalizzare, vediamo in questa dichiarazione proprio una pericolosa generalizzazione.

Perché controbattere con una dichiarazione assolutamente indimostrabile? Hanno forse controllato personalmente ogni singolo allevamento? Non è il nostro compito analizzare quanto un intero comparto possa ritenersi sano, certo è che se parliamo di bufale, parliamo anche di un lavoro che da parte di Four Paws si protrae dal 2014, di inchieste – come quelle di Giulia Innocenzi – che risalgono anche al 2015, con denunce alla mano sostenute anche da altre organizzazioni nazionali come la LAV.

E nonostante questo, le ispezioni di Paolo Bernini, condotte tra il 2013 e il 2018, mostrano ancora sversamenti e illegalità, mentre la stessa Four Paws ha condotto investigazioni uscite sui media austriaci e tedeschi solo nel 2018. Scorrendo le news locali del 2019 leggiamo di controlli sui lavoratori, sul prodotto e sull’impatto ambientale che restituiscono un’immagine tutt’altro che idilliaca.

Si sono forse tutti sbagliati? Oppure, ed è la nostra impressione, anche sostenere che un intero comparto sia per la maggior parte in regola è un grossa e fuorviante generalizzazione che non fa altro che generare confusione nel pubblico? Perché dei politici che dovrebbero garantire tutti gli aspetti che coinvolgono questo settore – pensare all’ambiente, pensare agli animali, pensare ai lavoratori coinvolti, tutelare i cittadini – si soffermano solo su una generica difesa del settore? Non era forse una delle cinque stelle la stella per l’ambiente? Non era forse Gianroberto Casaleggio il primo a difendere gli animali e a schierarsi anche contro la caccia?

Quali sono i fatti che, secondo i deputati, dimostrerebbero che questa filiera “non ha eguali”? Dalle loro parole sembrerebbe davvero un fiore all’occhiello della produzione italiana.

Allora ne approfittiamo per segnalare ai deputati e al Consigliere regionale Cammarano alcune storie, che forse si sono dimenticati strada facendo, e facciamo riferimento SOLO a notizie del 2019, proprio perché non vogliamo rischiare di andare troppo in là con la memoria, una memoria che comunque non guasterebbe rivangare, giusto per avere un quadro completo. 

Caserta News, a luglio 2019, pubblica un articolo intitolato “I ‘veleni’ degli allevamenti bufalini nei Regi Lagni, 3 aziende sequestrate”. Il giornale riporta che «Le attività investigative svolte dai militari della Stazione Carabinieri Forestale di Marcianise, coordinate dalla Procura e finalizzate a contrastare l’inquinamento del canale dei Regi Lagni che si riverbera nel mare Tirreno attraverso la foce dislocata nel comune di Castel Volturno, hanno permesso di individuare le tre aziende zootecniche che, in spregio alle normative ambientali, smaltivano illecitamente i reflui prodotti dai loro allevamenti direttamente sui nudi terreni e da questi, per percolazione, ruscellamento e lisciviazione, nei limitrofi canali di scolo affluenti del canale Apramo tributario dei Regi Lagni». Un fenomeno raccontato anche dal nostro documentario attraverso le parole di Paolo Bernini, che aveva documentato situazioni simili proprio negli anni passati. 

A giugno del 2019 la Guardia di Finanza ha invece effettuato un blitz in 14 allevamenti del Casertano, denunciando due allevatori e chiedendo la sospensione di tre aziende per uso di manodopera irregolare e per sfruttamento del lavoro, denunciando anche due titolari «per illecito sversamento di rifiuti, e sequestrato due aree, per un totale di 7mila metri quadrati per lo sversamento di liquami e rifiuti dalla sala mungitura». La notizia la riporta il Mattino di Napoli. Si tratta ancora una volta di una notizia che parla sia di impatto ambientale sia di lavoro nero, con sfruttamento di persone in stato di debolezza.

Caserta News riporta un’altra notizia molto importante per il territorio, in data 03/05/2019: la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto un’intesa con diversi enti e realtà coinvolte (dalle ASL ai Carabinieri, passando per l’Istituto Zooprofilattico) proprio perché «Nel territorio ricompreso nella giurisdizione della Procura (Casertano, ndr) è ubicato un numero elevatissimo di aziende zootecniche, la cui presenza costituisce preziosa risorsa, ma nel contempo necessita di costante monitoraggio, tenuto conto che è stata sovente accertata l’esistenza di attività illecite che si concretizzano in sversamento incontrollati di liquami, tombamento di rifiuti provenienti dallo scarto dell’attività produttiva ed inquinamento delle falde acquifere». 

Ad aprile, il Mattino, riporta la notizia della permanenza in carcere di un imprenditore che con metodo mafioso puntava ad acquisire sempre più allevamenti di bufale. Sicuramente un caso molto particolare, ma esplicativo di un tema che non riguarda solo la storia specifica di questo imprenditore: l’infiltrazione della criminalità organizzata in questo comparto.

Sono solo alcuni esempi delle notizie che toccano questo settore definito “senza eguali” (senza eguali in che senso, verrebbe da dire…), che vengono riportate dai giornali locali e che comunque fanno parte della realtà di questo settore. Possiamo quindi affermare che anche la dichiarazione di questi deputati per quanto concerne l’impatto ambientale e il rispetto delle persone sia davvero, davvero molto generica e poco documentata. 

Un capitolo a parte meritano invece gli animali, esseri senzienti tutelati anche dal Trattato di Lisbona dell’Unione europea, che i deputati si sono guardati bene dall’esaminare in modo approfondito. Ed è per questo che vogliamo invece specificare perché le loro dichiarazioni sulla tutela degli animali sono fallaci al 100%.

TUTTO QUELLO A CUI I DEPUTATI NON HANNO RISPOSTO

La strage dei bufalini maschi

Il punto più importante sul quale i deputati non hanno risposto è quello del destino dei bufalini maschi. Animal Equality è un’organizzazione per la protezione degli animali allevati a scopo alimentare, che lavora da anni in Italia e nel mondo per contrastare queste situazioni. Purtroppo, su questo punto i deputati non si sono espressi, mentre era il focus del nostro documentario, ampiamente documentato sia dalle persone intervistate sia dalle immagini raccolte nel corso degli anni. 

Pochi cittadini infatti sanno che il comparto bufalino – prevalentemente lattiero-caseario – funziona esattamente come quello bovino. Le bufale, per produrre latte, devono rimanere incinte e dare alla luce un cucciolo. Come tutte le specie in biologia, nasceranno sia cuccioli maschi che cuccioli femmina, questi ultimi considerati molto più utili all’industria degli altri. I cuccioli maschi infatti sono sempre stati considerati “scarto”, perché di fatto “inutilizzabili”. Con i maschi infatti non è possibile produrre latte. Come hanno documentato Giulia Innocenzi, Four Paws e Paolo Bernini nelle loro ispezioni molti bufalini vengono semplicemente lasciati morire, senza nemmeno essere registrati all’anagrafe. Ma perché? Perché sono un costo per gli allevatori, che non vogliono spendere nemmeno i soldi per mandarli al macello, l’unica alternativa possibile per questi cuccioli. Non esiste una via d’uscita: la morte è l’unica soluzione possibile

Ci sono quindi questioni etiche, morali ed economiche che spesso entrano in conflitto ma che comunque necessitano di essere sciolte. Secondo la FVE (Federation of veterinarians of Europe), è necessario prendere provvedimenti per evitare il surplus di animali maschi e per fare in modo che – se destinati a morire – questi animali non vengano uccisi brutalmente, tra atroci sofferenze e senza alcuna dignità. Già solo citare questa dichiarazione – che non ci vede per altro concordi al 100% con la FVE – stride con quello che viene documentato negli allevamenti di bufale, anche se sembra ci siano segnali che l’industria vuole considerare dei miglioramenti.

Secondo quanto riporta il Fatto Alimentare, dal 2018 sono aumentati molto i bufalini maschi tracciati, con lo scopo di macellarli per vendere la loro carne per i consumi umani. Uno stratagemma adottato dai produttori per trarre il massimo profitto possibile da questi animali, che altrimenti sarebbero solo un “peso”, un “costo”.

La questione rimane: questo comparto genera un surplus di animali maschi, esseri senzienti che nascono all’interno di un sistema che deve trovare un modo per sbarazzarsi di loro, in nero o a pagamento. 

Questo è il destino dei bufalini maschi che l’industria fa di tutto per nascondere e su cui nemmeno i deputati si sono pronunciati.

Le condizioni delle bufale 

Anche su questo punto i deputati hanno deciso di sorvolare, soffermandosi solo genericamente sul fatto che – secondo loro – questo comparto tutelerebbe il benessere degli animali in modo eccezionale

Nelle immagini raccolte da giornalisti e organizzazioni negli anni si vedono: 

  • Bufale costrette a vivere coperte di feci e fango, anche quando arrivano nella sala di mungitura; 
  • Animali costretti a vivere in strutture fatiscenti; 
  • Bufale costrette a una routine meccanica, inseminate artificialmente in un ciclo continuo di gravidanze e costante mungitura per il consumo umano; 
  • Bufalini morti coperti di feci e paglia per nascondere il corpo; 
  • Bufalini strappati alle madri che tentano invano di seguirli; 
  • Mancano arricchimenti, pozze d’acqua e altri strumenti che potrebbero fornire agli animali standard di vita migliori; 
  • Nessun accesso a prati o esterno; 

Tutto questo è ben lontano da quelli che normalmente sono considerati alti standard di benessere animale – se ci vogliamo soffermare solo su questo punto. Animal Equality pensa che nulla di tutto questo sia minimamente rispettoso nei confronti degli animali, che sono comunque sfruttati a scopo alimentare da un sistema che certo non è né sano né positivo per loro e non lo sarebbe comunque. 

Ma esistono posizioni divergenti sul tema, e siamo consapevoli che l’industria si appella al “benessere animale” per migliorare la situazione delle bufale, che consumate dai ritmi incessanti e dalle condizioni ingiuste, finiranno comunque al macello prima del tempo. Ma anche volendo considerare gli standard di benessere animale nessuno può affermare con certezza che ciò che è stato documentato sia rispettoso di questi standard, né decidere – senza fonti, senza riferimenti – di sostenere che gli allevamenti di bufale in generale siano rispettosi di questi standard. 

Su questo punto inoltre, vogliamo citare le risultanze dell’ultima relazione annuale 2018 al Piano Nazionale Integrato (PNI) 2015-2019 sui controlli ufficiali svolti nella filiera alimentare, come riportato dal sito del Ministero della Salute. 

Secondo la relazione, sono state controllate 267 aziende su un totale di 1839, e cioè il 15% del totale. Il 15% – una cifra decisamente molto bassa per poter affermare che l’intero comparto sia “senza eguali” per quanto riguarda il benessere animale. Inoltre, di queste 267 aziende, solo sei presentavano irregolarità, e nessuna è stata indicata come sanzionabile per il benessere animale, un dato curioso che ci spinge ancora di più a chiederci come sono stati effettuati questi controlli.

LE RISPOSTE DI CHI HA PARTECIPATO AL DOCUMENTARIO

La risposta di Giulia Innocenzi, giornalista 

Mi rivolgo al Consigliere regionale della Regione Campania Michele Cammarano, che ha attaccato duramente me e Animal Equality Italia per l’inchiesta sulla mozzarella di bufala. Il Consigliere nelle ultime ore sembra aver cambiato idea, e dice: “Sia benedetta la diffusione di immagini, anche forti che, nella loro atrocità, ci restituiscono un fenomeno in tutta la sua orribile verità”. Si spinge persino oltre. Sostiene infatti che dalle inchieste “sono scaturite indagini della magistratura che hanno portato alla chiusura di aziende nelle quali venivano riservati trattamenti disumani nei confronti delle bufale”. 

Lo correggo: Nonostante l’ottima collaborazione con i carabinieri, di tutti gli allevamenti e macelli di cui mi sono occupata MAI ho ottenuto la chiusura di una struttura, anche di quelle dove venivano commesse le peggiori atrocità. Il massimo che puoi ottenere è il sequestro di un’area e qualche sanzione amministrativa. Insomma, delinquere continua a convenire, perché tagli i costi e difficilmente vieni punito. 

La risposta di Manuela Giacomini, avvocato esperto in diritto animale 

Purtroppo è un dato di fatto che né in Italia né in Europa esiste una legislazione specifica a protezione del benessere delle bufale negli allevamenti, come accade per altri animali quali i suini o le galline ovaiole.

Ed infatti, l’unica normativa genericamente applicabile a questa specie animale è: il D.Lgs. n. 146/2001 – che attua la Direttiva 98/58/CE – che stabilisce “le misure minime da osservare negli allevamenti per la protezione degli animali”; la Direttiva 2008/119/CE, che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli confinati per l’allevamento e il macello – recepita in Italia con Dlgs 126/2011; e il Regolamento CE 1/2005 relativo alla protezione degli animali durante il loro trasporto.

Qualora ne ricorrano i presupposti poi, possono trovare applicazione anche la contravvenzione prevista dall’art. 727, c. 2, c.p., che punisce chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, nonché le ipotesi di reato di cui agli articoli 544 bis e ter c.p. relativi ai reati di maltrattamento e uccisione di animale.

Tuttavia, su questo specifico punto, malgrado nel comunicato stampa della Commissione Agricoltura vengano citate: “severissime norme che nel nostro Paese disciplinano il benessere animale negli allevamenti”, si fa notare che il nostro Codice Penale, al Libro II, Titolo IX-bis, si riferisce ancora ai “delitti contro il sentimento per gli animali” e non “degli animali”. Oggetto di tutela penale è quindi l’uomo legato emotivamente all’animale e non l’animale stesso.

E’ quindi evidente che, alla luce dell’articolo 13 del Trattato di Lisbona ove si riconosce agli animali lo status giuridico di “esseri senzienti” e della progressiva presa di coscienza del fatto che gli animali non sono “cose”, sarebbe necessaria una riforma relativa non solo al Titolo IX-bis ma anche alle pene previste per i reati di cui sopra.

Inoltre, dal momento che ogni animale ha necessità e caratteristiche etologiche diverse, sarebbe quantomeno opportuno promulgare una normativa specifica per ogni animale da allevamento come – appunto – le bufale, ma anche i conigli, le anatre, le oche e i pesci.

Solo in questo modo, infatti, si potrebbe garantire la reale tutela del loro benessere, sia fisico che psichico, in quanto esseri capaci di provare dolore e sofferenza.

Infine, sarebbe certamente utile prevedere maggiori controlli da parte delle autorità competenti nazionali all’interno degli allevamenti non solo per tutelare il benessere degli animali ivi presenti ma anche per tutelare i consumatori e l’intera filiera stessa, poiché in questo modo si potrebbero certamente garantire standard elevati da parte di tutti gli operatori e, quindi, una leale concorrenza tra gli stessi.

La risposta di Enrico Moriconi, medico veterinario e garante per i diritti animali della regione Piemonte

La diffusione del documento di Animal Equality sull’allevamento delle bufale ha sollevato risposte critiche da più parti, con affermazioni che, però, sono a loro volta contestabili.

Alcune voci hanno sostenuto che gli allevamenti rispecchiano le leggi ma dimenticano che non esistono leggi specifiche sulla specie bufalina. Si può fare riferimento al Decreto legislativo 146/2001 che però è assolutamente generico e non prescrive alcuna norma veramente tutelante; pertanto non si capisce quale sia la legge a cui si fa riferimento.

Secondariamente si sostiene che gli allevamenti italiani sono sottoposti a severi controlli ma proprio le immagini di situazioni molto gravi dimostrano che vi sono casi che sfuggono ai controlli e giustificano i dubbi sull’efficacia dei controlli stessi, poiché nessuno può quantificare veramente la rilevanza degli allevamenti gestiti in maniera negativa.

La risposta di Paolo Bernini, ex parlamentare 

Le dichiarazioni dei deputati della Commissione agricoltura includono frasi come “gli allevamenti di bufale non hanno eguali per quanto concerne il rispetto degli animali e dell’ambiente”. Ma come si può dire una cosa del genere quando migliaia di bufalini maschi ad ogni stagione riproduttiva “sembrerebbero sparire” dagli allevamenti poiché considerati uno scarto di produzione della filiera?

Le Asl e il Ministero della Salute non conoscevano questa realtà? Nas e Noe quando effettuano controlli e verifiche “scoprono” bufalini che sembrerebbero lasciati morire di fame o soffocati con la paglia, gettati nei canali o nella migliore delle ipotesi abbandonati in strada insieme ai randagi… e che i reflui degli allevamenti inquinano le falde.

Come se non bastasse, si contano allevamenti in mano alla malavita organizzata e non esenti dalla malattia della brucellosi: una grave zoonosi, quindi patologia potenzialmente trasmissibile all’uomo attraverso il consumo della mozzarella.

Una questione da risolvere non solo per i diritti degli animali, ma anche per il ripristino della legalità in territori in cui lo Stato è evidentemente assente e, per questo, la camorra continua ad agire indisturbata.


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