Il consumo di carne sta uccidendo il pianeta.
Basta guardare i numeri.
Tutto quello che mangiamo ha un impatto ambientale. Ma le diete a base di carne sono una delle principali fonti di gas serra. Le attività agricole rappresentano il 24% di tutte le emissioni di gas serra ogni anno. Di queste, l’80% è dovuto direttamente o indirettamente ad attività zootecniche, ossia quelle attività che potremmo tranquillamente chiamare allevamenti.
Vuol dire che la maggior parte delle emissioni legate alla nostra alimentazione dipendono dalla nostra personale scelta di rinunciare o meno alla carne.
Spesso ci dimentichiamo di come i piccoli cambiamenti collettivi delle nostre routine possano avere effetti di vasta portata.È stato calcolato che se solo la popolazione degli Stati Uniti decidesse di rinunciare a carne e derivati per un solo giorno alla settimana, in un anno, risparmieremmo alla nostra atmosfera l’inquinamento prodotto da 7.6 milioni di automobili.
Benché nel dibattito sui gas serra il monossido di carbonio catalizzi sempre tutta l’attenzione, esso rappresenta solo il 9% delle emissioni del settore agricolo. Il metano (CH4), è un gas serra 25 volte più pericoloso, occupa una fetta che va dal 35% a 45% mentre l’ossido nitroso (N2O), 300 volte più pericoloso, oscilla ogni anno fra il 45% ed il 55%.
Cosa c’entra il metano con gli allevamenti?
I ruminanti (bovini e ovini) producono metano come effetto secondario dei propri processi digestivi e lo rilasciano in atmosfera in virtù di tali processi o con le esalazioni derivanti dal loro letame in decomposizione.
Se considerate che solo gli animali allevati negli Stati Uniti producono 500 milioni di tonnellate di letame ogni anno, ossia 3 volte la quantità di rifiuti prodotti dalla popolazione statunitense nello stesso arco di tempo, inizierete a farvi un’idea di cosa significhi per l’ambiente il nostro insaziabile appetito per la carne.
Facciamo presente che stiamo parlando di un unico gas nocivo e solamente del suo effetto in atmosfera. Ma il letame che si decompone, parlando di quantità così grosse, va a contaminare anche le nostre falde acquifere.
E poi esistono anche altre sostanze, come per esempio il protossido di azoto.
Cosa c’entra il protossido di azoto con gli allevamenti?
Il protossido di azoto è anch’esso un prodotto secondario della decomposizione del letame dei ruminanti, ma viene immesso in atmosfera in quantità maggiore con la produzione e l’applicazione di fertilizzanti azotati, così come durante il deterioramento di un terreno ricco di carbonio, appena disboscato per creare spazio ad uso agricolo.
Continuiamo con l’esempio statunitense per farci un idea: 60 milioni di ettari di terre coltivate, 167 milioni di kg di pesticidi e 19 miliardi di euro vengono spesi ogni anno per nutrire la popolazione di ruminanti di cui parlavamo prima.
Oppure, visto dal punto di vista del consumo del suolo: secondo la FAO, gli allevamenti equivalgono al 26% di tutte terre emerse, ghiacciai inclusi. A questo dato possiamo aggiungere che l’area totale dei terreni in cui si coltiva il cibo per gli allevamenti equivale al 33% di tutta la terra arabile del pianeta.
Riassumendo, sempre secondo la FAO l’allevamento occupa il 70% di tutti i terreni agricoli presenti nel mondo e il 30% della superficie del pianeta. E stiamo continuando ad abbattere foreste per far spazio ad allevamenti e terreni per mangimi.
A questo punto, probabilmente starai iniziando a realizzare come tutte quelle costine, quegli hamburger o quei formaggi che finiscono ogni giorno nel nostri piatti non facciano poi così bene all’ambiente.
Ma non prendetevela con gli allevamenti, con i macelli, i supermercati o con i ristoranti. Queste attività commerciali rispondono a una domanda. E quella domanda… beh la creiamo noi, noi che divoriamo carne a prezzi mai visti. Dal 1971 al 2010, a fronte di una crescita della popolazione globale del 81%, la produzione di carne mondiale è triplicata raggiungendo una cifra di circa 670 miliardi di euro.
Quindi, quali alimenti sono più dannosi per l’ambiente?
Esiste un’analisi dettagliata della Carbon Footprint totale delle fonti di proteine più comunemente diffuse, siano esse carne, formaggi o vegetali. Per Carbon Footprint si intende l’emissione di gas nocivi attribuibile a un prodotto, un’organizzazione o un individuo e serve a misurare l’impatto che tali emissioni hanno sui cambiamenti climatici legati all’attività dell’uomo.
Secondo questa lista, agnello, manzo e formaggio occupano in questo ordine le tre posizioni più inquinanti. La lista procede poi includendo carne di maiale, salmone d’allevamento, tacchino, pollo, tonno in scatola, uova per poi terminare con patate, riso, burro di arachidi, noci, broccoli, tofu, fagioli secchi, latte e lenticchie.
È una lista che ingloba tutti i momenti della vita di un cibo, trasporti inclusi. Secondo questa analisi ogni kg di cibo consumato produce circa 86.4 kg di CO2 se si tratta di carne di agnello, 59.6 kg se si tratta di manzo, 29.7 kg se si tratta di formaggio. I broccoli generano circa 1.9 kg di CO2 contro le lenticchie che ne producono solo 0.89. Va inoltre notato che per le fonti vegetali, la maggior parte delle emissioni nocive è legata al trasporto, alla cottura e allo smaltimento dei rifiuti.
E l’impatto sulla salute?
Va prima di tutto fatta una precisazione: l’impatto ambientale ha già di per sé effetti sulla nostra salute. E questo anche se siamo lontani centinaia di km dalle fonti di inquinamento: acque e aria non conoscono confini, il problema ormai è globale.
Ma se l’impatto ambientale delle nostre diete non fosse sufficiente a farci ripensare le nostre routine alimentari, forse potremmo prendere in seria considerazione l’impatto del cibo sulla nostra salute.
L’Istituto Nazionale per il Cancro statunitense ha studiato ben 500.000 cittadini americani nel 2009 ed è arrivato a conclusioni pesanti: nella parte di questo campione che si è cibata maggiormente di carne rossa si riscontra un +20% di probabilità di morte per cancro e + 27% per infarto.
Per le donne, i risultati sono ancora meno confortanti: fra le consumatrici di alte quantità di carne rossa, il rischio di morte per malattie cardiovascolari è più alto del 50%.
Ma abbandonare la carne è difficile!
Diventare vegetariani, o semplicemente diminuire il nostro consumo di carne, non è così drastico come si può pensare.
L’analisi dei dati dell’Economic Research Service del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (ERS / USDA) ha evidenziato come tutte le nostre diete varino fra di loro per solo il 40% del loro totale, indipendentemente se siamo consumatori di carne o vegan.
Benché le emissioni di CO2 delle diete vegetariane siano inferiori di un terzo rispetto a quelle di un occidentale medio e quasi la metà di un “amante della carne”, la stessa analisi dell’ERS ha contemporaneamente dimostrato che solo la sostituzione della carne di manzo con quella di pollo abbatterebbe di un quarto le emissioni di CO2.
[NDR: Animal Equality incoraggia il lettore a lasciare fuori dalla propria dieta tutti i tipi di carne.]
Gli effetti di un piccolo cambiamento cominciano ad avere ancora più senso se si considera come i prodotti di origine animale rappresentino solo il 25% del nostro apporto calorico e allo stesso tempo costituiscano il 60% delle emissioni legate alle nostre routine alimentari.
Ok, ma le proteine?
A coloro i quali si stanno preoccupando di non riuscire a reperire abbastanza proteine, suggeriamo l’ultimo studio del Centro Nazionale per l’Informazione Biotecnologica svolto su un campione di uomini fra i 17 ed i 70 anni e con un apporto di proteine consigliato di 56g giornalieri.
Questo studio ha dimostrato che la maggior parte di questi individui consuma normalmente quasi il doppio delle proteine consigliate, in quote giornaliere fra gli 88.3 e i 109.2 grammi giornalieri.
Tenendo presente questi risultati, consigliamo anche quelli di un altro studio: solo l’1% dei bambini e il 4% degli adulti consuma la quantità consigliata di frutta e verdura.
Oltre a non mangiare carne né derivati, cosa posso fare per aiutare il pianeta?
Le risposte sono sotto il nostro naso da secoli, e sicuramente ne hai sentito parlare anche tu.
Acquista prodotti locali: ridurrai le emissioni in percentuali che vanno dal 20% al 25%.
Se possibile concentrati su prodotti provenienti da agricolture biologiche: questo tipo di coltivazioni hanno un impatto ambientale molto più ridotto rispetto alle agricolture convenzionali poiché alle aziende biologiche è richiesto di utilizzare fertilizzanti naturali e di evitare i pesticidi chimici.
In conclusione, se vogliamo fare sul serio la differenza non dobbiamo sconvolgerci la vita: basta lasciare la carne e i derivati fuori dalla nostra dieta.
Se una famiglia media di 4 persone riuscisse a farlo anche solo per un giorno alla settimana, in un anno, risparmierebbe al pianeta l’equivalente di 3 mesi di inquinamento della propria auto.
Fonte: Salon.com
AMICI, NON CIBO!
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