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Un anno dopo Sairano, il problema della peste suina sono ancora gli allevamenti
Un anno fa, le forze di polizia entravano con violenza nel rifugio Progetto Cuori liberi a Sairano, in provincia di Pavia, sgomberando gli attivisti e uccidendo i nove maiali all’interno del santuario, a causa dell’epidemia di peste suina africana. Ancora oggi questa malattia continua a colpire gli animali, soprattutto all’interno degli allevamenti intensivi.
Cosa è successo a Sairano
Quel 20 settembre 2023, sia i maiali sani sia quelli malati che si trovavano all’interno del rifugio sono stati vittime di un’azione considerata a scopo preventivo dalle autorità che hanno emesso l’ordinanza di abbattimento. Fino a quel momento i maiali uccisi negli allevamenti lombardi a causa della peste suina erano stati oltre 33 mila. Il rifugio Progetto Cuori liberi rappresentava e continua a rappresentare un luogo privo di sfruttamento per i tanti animali che ci vivono, salvati da un destino crudele negli allevamenti e nei macelli.
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La mobilitazione di attivisti e attiviste per evitare la soppressione dei maiali nel rifugio è durata due settimane ma è stata ignorata e contrastata con i manganelli dalle forze dell’ordine per permettere l’accesso dei veterinari, che hanno infine eseguito l’ordinanza uccidendo gli animali. Si tratta di un grave precedente per i diritti degli animali che ha portato in piazza a Milano nelle settimane successive migliaia di manifestanti in protesta contro quanto accaduto. La richiesta è stata chiara: “Giù le mani dai santuari”.
Guarda il trailer del documentario che racconta cosa è accaduto a Sairano:
La peste suina oggi
Dagli eventi drammatici di Sairano, il numero di maiali uccisi per la diffusione della peste suina africana non si è affatto fermato. Nel 2024 sono quasi 90 mila i maiali uccisi per contrastare l’epidemia e 45 gli allevamenti contagiati finora in Italia.
L’epidemia è in corso da due anni e si è estesa in otto regioni, dove i maiali continuano a morire e a venire abbattuti ogni giorno. Attualmente infatti, negli allevamenti delle cosiddette zone rosse, qualsiasi contatto diretto o indiretto degli animali allevati con un focolaio di peste suina permette al servizio veterinario di disporre l’abbattimento preventivo degli animali.
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I provvedimenti messi in campo per contenere l’epidemia sono stati finora del tutto inefficaci e hanno provocato soltanto un aumento di sofferenza e morte. Questa situazione ha soprattutto messo a nudo che il problema è insito nel sistema stesso in cui epidemie di questo tipo nascono e proliferano: gli allevamenti intensivi. All’interno di queste strutture lo sfruttamento degli animali è costante e crudele.
Guarda cosa succede all’interno degli allevamenti intensivi:
Per fermare la peste suina bisogna chiudere gli allevamenti
Nel 2023 in Europa i focolai di peste suina sono quintuplicati rispetto all’anno precedente, diffondendosi in 14 stati membri e raggiungendo il picco già registrato nel 2019, anno di record negativo per il numero di morti e uccisioni di maiali a causa dell’epidemia in tutto il mondo.
I luoghi di maggiore contagio sono sempre gli allevamenti. Qui, come abbiamo documentato negli anni attraverso le nostre investigazioni, gli animali subiscono abusi sistematici e violazioni delle leggi sul benessere animale. In particolare, i maiali sono costretti ad affrontare pratiche dolorose e illegali, ma spesso di routine, come la castrazione e l’amputazione senza anestesia.
Guarda cosa succede ai maiali negli allevamenti:
Questi luoghi sovraffollati, insalubri e fonte di stress estremo per gli animali non possono che essere bombe a orologeria. È ampiamente riconosciuto infatti che le condizioni degli allevamenti intensivi offrono opportunità agli agenti patogeni di mutare e diventare più contagiosi.
In Italia, inoltre, la densità di allevamenti intensivi è molto elevata, soprattutto nella Pianura Padana, dove i maiali allevati sono oltre 4 milioni, pari alla metà della produzione nazionale. Non a caso, Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna sono le regioni attualmente più colpite dall’epidemia di peste suina.
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Già un anno fa, il veterinario Vittorio Guberti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, sosteneva che per contenere le epidemie in Italia sia necessario quindi “ridurre il numero di allevamenti per chilometro quadrato”. Oggi questo appello è rimasto inascoltato dalle istituzioni e gli animali continuano a soffrire.
Il cambiamento è possibile
Ad Animal Equality lavoriamo ogni giorno per proteggere gli animali allevati a scopo alimentare. Crediamo che la politica debba aprire gli occhi e intervenire per modificare un sistema come quello dell’allevamento industriale che condanna gli animali a un’esistenza fatta di sofferenza costante.
Lo sfruttamento crudele degli animali non è più accettato da tantissime persone che ogni giorno scelgono di fare la propria parte per cambiare il destino degli animali allevati. Questa scelta consiste nel ridurre o abbandonare del tutto i derivati di origine animale: una scelta rispettosa non solo degli animali, ma anche dell’ambiente e del pianeta.
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