La via della carne
La nuova via della seta parte dall’Occidente e porta maxi-allevamenti multi piano verso la Cina.
Il successo crescente nel mercato delle alternative vegetali alla carne e della ricerca nel campo della clean meat purtroppo non hanno ancora significato una diminuzione della domanda di carne e derivati a livello globale, soprattutto nei paesi asiatici. Proprio qui infatti l’aumento della richiesta ha generato una corsa alla costruzione di allevamenti intensivi ad alta densità sempre più “efficaci”, avanzati – e terrificanti: strutture alte come palazzi in cui stipare su più livelli animali che sono stati geneticamente modificati per adattarsi e rendere “al meglio” in sistemi altamente meccanizzati e tecnologici.
Pensando agli avvenimenti di questi anni, e in particolare alla crisi sanitaria globale degli ultimi mesi, verrebbe spontaneo immaginare che ci siano paesi come la Cina dietro questa nuova visione, ma le cose non stanno così – non esattamente. Perché questa volta la Cina ha preso come modello l’Europa. Sì, proprio l’Europa, la stessa Europa che ha ideato e promosso il Green Deal.
Il Green Deal è un insieme di iniziative ideate, concordate e promosse dalla Commissione Europea per contrastare il cambiamento climatico, che dovrebbe portare all’azzeramento delle emissioni di gas serra, alla rivalutazione e protezione del patrimonio naturale e della biodiversità e a una società più giusta e prospera. Leggi e investimenti dei singoli stati, quindi, dovrebbero favorire anzitutto un nuovo rapporto con la natura, il terreno e gli animali, con l’obiettivo di fermare la corsa verso un mondo in cui semplicemente vivere non sarà più possibile.
Un modello Europeo esportato in Asia
Per quanto entusiasmante possa sembrare tutto questo, la realtà delle cose è molto diversa. Il «modello Pechino» infatti è quanto di più europeo ci sia, come rivela Il Salvagente in un recente reportage dalla Cina sul nuovo business della carne. Nella regione del Guangxi Zhuang, sul monte Yaji, sorge il più grande impianto multilivello del mondo: sette piani di cemento, 1.300 maiali rinchiusi in ogni piano. Un vero e proprio mostro. Un mostro che ha origini tutt’altro che cinesi, però, quanto piuttosto radici chiaramente europee. L’Olanda, la cosiddetta “Food Silicon Valley”, è in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di modelli di allevamento intensivo sempre più “avanzati”: gabbie multipiano in cui stipare i polli, pavimenti che si alzano insieme alla scrofa in modo che non schiacci i maialini appena nati, ascensori per spostare gli animali, strutture modulari che possono essere impilate fino a creare allevamenti simili a grattacieli – i famigerati «pig hotel.» E olandese è anche il Royal Dutch Jaarbeurs Group che in Cina organizza la fiera VIV Qingdao, uno dei maggiori appuntamenti annuali del settore agricolo a livello internazionale.
In Europa, le strutture multipiano vengono utilizzate già da decenni per le galline ovaiole ma di recente i Paesi Bassi hanno cominciato a servirsene anche per i polli da carne. Nella provincia del Limburgo, l’imprenditore Marcel Kuijpers ha creato un allevamento superintensivo e tecnologicamente avanzato: 250.000 animali sono rinchiusi in un unico edificio dove nascono, crescono e, poche settimane più tardi, vengono prelevati e macellati da un sistema interno automatizzato. L’obiettivo di Kuijpers è ora quello di arrivare a 1 milione di polli da macellare al ritmo di 32.000 al giorno.
Per i sostenitori degli allevamenti “a circuito chiuso”, strutture di questo tipo permetterebbero di risparmiare agli animali il trauma del trasporto fino al sito della macellazione e di evitare possibili contaminazioni ambientali. Ma secondo chi si oppone a questi modelli, come Geert Laugs di Compassion in World Farming Olanda, in questi enormi complessi ad alta densità i polli sono condannati a un’esistenza dolorosa e miserevole che non rispetta minimamente i loro cicli naturali – un’esistenza indegna di esseri senzienti.
In Italia, dove il sistema a capannoni rimane ancora il più diffuso, l’allevamento intensivo ad alta densità viene considerato necessario per far fronte alla richiesta sempre crescente di proteine animali, in particolare di carni bianche. I numeri sono esorbitanti. Secondo Antonino Morabito, responsabile nazionale fauna e benessere animale di Legambiente, l’allevamento intensivo avicolo è l’emblema più lampante dell’industrializzazione di questo settore, “per i grandissimi numeri, visto che in Italia ogni anno tra 450 e 500 milioni di polli entrano nel circuito di allevamento intensivo. E perché in questa industria c’è stata una forte spinta alla selezione genetica per arrivare a una razza che si prestasse a questa idea di meccanizzazione della produzione”.
Greenpeace, in una campagna contro il sistema di allevamenti intensivi indicati come principali attori della crisi climatica attuale, sottolinea come il modello alimentare globale sia controllato da potenti lobby che cercano di impedire ogni cambiamento virtuoso. Un terzo del bilancio dell’Unione Europea, spiega la ong nel suo dossier «Ricostruire da zero la Politica Agricola Comune. Un nuovo inizio per il sistema agroalimentare europeo», viene utilizzato per mantenere lo status quo attraverso i fondi del PAC – il patto agricolo comune dell’Unione Europea. «E’ ora di cambiare rotta» dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia.
«Bisogna smettere di finanziare ciecamente un sistema non più sostenibile, aiutando gli agricoltori a produrre alimenti sani e rispettosi dell’ambiente. Per farlo è necessario infrangere il tabù dell’aumento di produzione ad ogni costo, soprattutto di prodotti che hanno un maggiore impatto ambientale come quelli di origine animale: questo è il momento per iniziare a produrre e consumare meno e meglio, utilizzando i fondi disponibili per sostenere i produttori e i consumatori in questo cambiamento e smettendo di finanziare il sistema degli allevamenti intensivi”.
Il Green Deal, insomma, non deve restare solo un concetto con cui le istituzioni possono riempirsi la bocca ma va applicato concretamente, subito e sempre di più.
Noi di Animal Equality, insieme ad altre 70 organizzazioni in Europa, vogliamo che la salute degli animali e la loro tutela siano temi centrali nel Green Deal Europeo: per garantire un futuro migliore per gli animali, ma anche per le persone e il Pianeta.
Per questo abbiamo inviato le nostre raccomandazioni al Governo italiano e alla Commissione Europea; i temi centrali delle due lettere inviate dalle organizzazioni italiane alle istituzioni sono due: un bando definitivo del commercio di animali esotici e l’abbandono di forme intensive di allevamento all’interno dell’Unione Europea, provvedimenti fondamentali per proteggere la salute delle persone, la biodiversità e gli animali.
A seguito delle raccomandazioni, Animal Equality e le altre ong coinvolte sono entrate in contatto con le Commissioni Europee preposte allo sviluppo di questi piani fondamentali per il futuro del nostro Pianeta. Per fortuna, molto parlamentari europei hanno ben chiara la direzione da prendere, ma la strada è ancora lunga per sconfiggere la pressione delle lobby dell’industria della carne e degli allevatori. Nel frattempo però, non rimarremo certo a guardare.
Un futuro migliore è possibile grazie alle scelte delle istituzioni, ma anche grazie alle scelte personali di ognuno di noi!
Un’alimentazione 100% a base vegetale e atteggiamenti attenti e consapevoli in tutte le scelte della vita aiutano a prevenire la crudeltà sugli animali! Per saperne di più, visita il nostro sito dedicato all’alimentazione a base vegetale e al cambiamento di abitudini alimentari più compassionevoli e giuste per il Pianeta e gli animali!
Scritto da Maura Parolini e Matteo Curtoni