L’allevamento industriale è uno dei maggiori crimini della storia
Gli animali sono le principali vittime della storia e il trattamento riservato agli animali cosiddetti “da reddito”, negli allevamenti industriali, è forse il peggior crimine della storia. Il cammino del progresso umano è disseminato di animali morti. Già decine di migliaia di anni fa, i nostri antenati dell’età della pietra furono responsabili di una serie di disastri ecologici. Quando i primi esseri umani raggiunsero l’Australia circa 45.000 anni fa, portarono rapidamente all’estinzione il 90% dei grandi animali. Questo fu il primo impatto significativo che l’Homo Sapiens ebbe sull’ecosistema del pianeta. E non fu l’ultimo.
Il cammino del progresso umano è disseminato di animali morti. Foto: John Eveson/RexCirca 15.000 anni fa, gli esseri umani hanno colonizzato l’America, spazzando via anche qui circa il 75% dei grandi mammiferi. Numerose altre specie sono scomparse dall’Africa, dall’Eurasia e dalla miriade di isole intorno alle loro coste. La documentazione archeologica di ogni Paese racconta la stessa triste storia. La tragedia ha inizio con una scena che mostra una popolazione ricca e variegata di grandi animali, senza alcuna traccia di Homo Sapiens. In seguito appaiono gli esseri umani, come dimostrato dal ritrovamento di un osso fossile, una punta di lancia o i resti di un falò. La storia continua con sempre maggior numero di uomini e donne che occupano il centro della scena e gli animali più grandi, oltre a molti di quelli più piccoli, ormai estinti. Complessivamente, il sapiens ha spinto all’estinzione circa il 50% di tutti i grandi mammiferi terrestri del pianeta prima ancora di aver seminato il primo campo di grano, creato il primo strumento di metallo, scritto il primo testo o fuso la prima moneta. Un altro importante punto di svolta nelle relazioni uomo-animale è stata la rivoluzione agricola: il processo attraverso il quale siamo diventati da nomadi cacciatori – raccoglitori ad agricoltori che vivevano in insediamenti permanenti. Questo ha creato una nuova forma di vita sulla Terra: gli animali domestici. Da un primo esame potrebbe apparire che questo tipo di sviluppo non sia stato così incisivo, visto che gli esseri umani sono riusciti ad addomesticare soltanto meno di 20 specie di mammiferi e uccelli, in confronto alle innumerevoli migliaia di specie che sono rimaste “selvatiche”. Eppure, con il passare dei secoli, questa organizzazione sociale è diventata la norma. Oggi, oltre il 90% di tutti i grandi animali sono addomesticati (per “grandi” si intendono gli animali che pesano almeno un paio di chilogrammi). Si consideri il pollo, ad esempio. Diecimila anni fa, era un uccello raro che viveva in piccole zone dell’Asia meridionale. Oggi, miliardi di polli vivono in quasi tutti i continenti e le isole. Il pollo domestico è probabilmente l’uccello più diffuso nella storia del pianeta Terra. Se si misura il successo in termini di numeri, polli, mucche e maiali sono gli animali di maggior successo di sempre. Ahimè, queste specie pagano per questo successo collettivo una sofferenza individuale senza precedenti. Il regno animale ha conosciuto molti tipi di dolore e miseria per milioni di anni. Ma l’allevamento industriale ha portato con sé dei tipi di sofferenza completamente nuovi, sofferenza che è sempre aumentata con il passare delle generazioni. A prima vista, potrebbe sembrare che gli animali addomesticati vivano meglio rispetto ai loro cugini o antenati selvatici. I bufali selvatici passano le giornate alla ricerca di cibo, acqua e riparo e sono costantemente minacciati da leoni, parassiti, inondazioni e siccità. I bovini addomesticati, al contrario, godono di cura e protezione da parte degli esseri umani. Delle persone forniscono a vacche e vitelli cibo, acqua e riparo, trattano le loro malattie e li proteggono dai predatori e dai disastri naturali. È vero, la maggior parte delle vacche e dei vitelli, prima o poi finisce al macello. Il loro destino è peggiore di quello dei bufali selvatici? E’ meglio essere divorati da un leone che macellati da un umano? I denti del coccodrillo sono più gentili delle lame di acciaio? Ciò che rende l’esistenza degli animali da allevamento domestici particolarmente crudele, non è solo il modo in cui muoiono, ma soprattutto le condizioni in cui vivono. Due fattori concorrenti hanno plasmato queste condizioni: da un lato, gli esseri umani vogliono carne, latte, uova, pelle e divertimento; dall’altro, gli esseri umani devono garantire la sopravvivenza a lungo termine e la riproduzione degli animali da allevamento. Teoricamente, questo dovrebbe proteggere gli animali dalla crudeltà estrema. Se un contadino munge la sua mucca senza fornirle cibo e acqua, la produzione di latte diminuirà e la mucca morirà in breve tempo. Ma purtroppo gli esseri umani possono causare enormi sofferenze agli animali da allevamento in altri modi, anche garantendone la sopravvivenza e la riproduzione. La radice del problema è che gli animali da allevamento hanno ereditato dai loro antenati selvatici molti bisogni fisici, emotivi e sociali che sono ritenuti privi di importanza nelle aziende. Gli agricoltori abitualmente ignorano queste esigenze senza pagare alcun prezzo economico. Si bloccano gli animali in gabbie minuscole, si mutilano loro corna e code, le madri vengono separate dalla prole e le razze vengono selezionate in maniera mostruosa. Gli animali quindi soffrono enormemente, nonostante vivano e si moltiplichino. In questo modo non si contraddicono i principi basilari dell’evoluzione darwiniana? La teoria dell’evoluzione sostiene che tutti gli istinti e le necessità si sono evoluti nell’interesse della sopravvivenza e della riproduzione. Se è così, la riproduzione continua degli animali da allevamento dimostra che tutte le loro reali esigenze sono quindi soddisfatte? Come può una mucca avere un “bisogno” che in realtà non è essenziale per la sopravvivenza e la riproduzione? “Per sopravvivere e riprodursi, il bestiame selvatico doveva comunicare, collaborare e competere efficacemente” E’ certamente vero che gli istinti e le necessità si sono modificati per soddisfare le pressioni evolutive di sopravvivenza e riproduzione. Quando queste pressioni scompaiono, tuttavia, gli istinti e le necessità che questi animali avevano sviluppato non evaporano all’istante. Anche se non sono più strumentali per la sopravvivenza e la riproduzione, continuano a plasmare le esperienze soggettive dell’animale. I bisogni fisici, emotivi e sociali attuali di mucche, cani ed esseri umani non rispondono alle loro esigenze attuali, ma piuttosto alle modifiche evolutive che i loro antenati hanno sviluppato decine di migliaia di anni fa. Perché oggi gli esseri umani amano così tanto i dolci? Nel 21° secolo non abbiamo bisogno di gelati e cioccolato per sopravvivere. In realtà è perché i nostri antenati dell’età della pietra si sono imbattuti in dolci frutti maturi e la cosa più sensata da fare era di mangiarne quanti più potevano, il più rapidamente possibile. Perché i giovani guidano incautamente, hanno atteggiamenti aggressivi o si divertono ad hackerare siti internet riservati? Perché obbediscono ad antiche esigenze genetiche. Settantamila anni fa, un giovane cacciatore rischiò la vita per cacciare un mammut facendo eclissare tutti i suoi concorrenti, vincendo la palma del più forte e ora siamo bloccati nei suoi geni da macho. La stessa logica evolutiva plasma la vita di vacche e vitelli nei nostri allevamenti industriali. Gli antichi bovini selvatici erano animali sociali. Per sopravvivere e riprodursi, avevano bisogno di comunicare, cooperare e competere efficacemente. Come tutti i mammiferi sociali, i bovini selvatici apprendevano le necessarie competenze sociali attraverso il gioco. Cuccioli, gattini, vitellini e bambini amano giocare perché l’evoluzione ha impiantato in loro questo desiderio. In natura, avevano bisogno di giocare. Se non lo avessero fatto non avrebbero appreso le tecniche di sopravvivenza e di riproduzione. Se un gattino o vitello nasceva con qualche rara mutazione che li rendeva indifferenti al gioco, erano a rischio di sopravvivenza o di riproduzione, così come neanche i loro antenati sarebbero esistiti se non avessero acquisito tali competenze. Allo stesso modo, l’evoluzione ha trasmesso nei cuccioli, gattini, vitelli e bambini un impellente desiderio di legame con le loro madri. Una mutazione che indeboliva il legame madre-figlio sarebbe stata una condanna a morte. Cosa succede quando ora gli allevatori prendono un giovane vitello, lo separano dalla madre, lo mettono in una piccola gabbia, lo vaccinano contro varie malattie, gli forniscono cibo e acqua e poi, quando è abbastanza grande e se femmina, la inseminano artificialmente con lo sperma di un toro? Dal punto di vista oggettivo, questo vitello non ha più bisogno né del legame materno né di compagni di gioco al fine di sopravvivere e riprodursi. Tutti i suoi bisogni sono soddisfatti dai suoi padroni umani. Ma da un punto di vista soggettivo, il vitello sente ancora un forte bisogno di stare con la madre e di giocare con altri vitelli. Se queste pulsioni non vengono soddisfatte, il vitello soffre molto.
L’abuso sugli animali non si fermerà fino a quando non smetteremo di mangiare carne – Peter Singer
Questa è la lezione fondamentale della psicologia evolutiva: un bisogno cresciuto in migliaia di generazioni, continua a farsi sentire soggettivamente anche se non è più necessario per la sopravvivenza e la riproduzione nel presente. Tragicamente, l’allevamento industriale ha dato all’uomo il potere di garantire la sopravvivenza e la riproduzione degli animali domestici, ignorando i loro bisogni soggettivi. Di conseguenza, gli animali domestici sono collettivamente gli animali di maggior successo al mondo ma allo stesso tempo sono individualmente gli animali più sfortunati che siano mai esistiti. La situazione è peggiorata molto nel corso degli ultimi secoli, durante i quali l’allevamento tradizionale ha lasciato il posto all’allevamento industriale. Nelle società antiche, come l’antico Egitto, l’impero romano o la Cina medievale, l’uomo aveva una comprensione molto parziale di biochimica, genetica, zoologia ed epidemiologia. Di conseguenza, il suo potere manipolativo era limitato. Nei villaggi medievali, i polli correvano liberi tra le case, beccavano semi e vermi dal mucchio di spazzatura e costruivano nidi nel fienile. Se un allevatore ambizioso avesse cercato di bloccare 1.000 polli all’interno di un capannone affollato, una micidiale epidemia di influenza aviaria avrebbe probabilmente ucciso tutti i polli e anche la maggior parte degli abitanti del villaggio. Nessun sacerdote, sciamano o stregone avrebbe potuto impedirlo. Ma una volta che la scienza moderna ha decifrato i segreti di uccelli, virus e scoperto gli antibiotici, gli esseri umani hanno potuto iniziare a sottoporre gli animali a condizioni di vita sempre più estreme. Con l’aiuto di vaccinazioni, farmaci, ormoni, pesticidi, impianti di condizionamento centralizzati e alimentatori automatici, è ora possibile stipare decine di migliaia di polli in capannoni e gabbie ed avere una produzione di carni e uova con un’efficienza senza precedenti. Il destino degli animali in tali impianti industriali è diventato una delle questioni etiche più urgenti del nostro tempo, certamente in termini di numero di individui coinvolti. Oggi, la maggior parte dei grandi animali vive negli allevamenti industriali. Noi immaginiamo che il nostro pianeta sia popolato da leoni, elefanti, balene e pinguini. Questo può sembrar vero sul canale Tv del National Geographic, nei film Disney e nelle favole per bambini, ma non è così nel mondo reale. Nel mondo ci sono 40.000 leoni ma, per contrasto, circa 1 miliardo di suini domestici; 500.000 elefanti e 1,5 miliardi di mucche da allevamento; 50 milioni di pinguini e 20 miliardi di polli. Nel 2009, si è avuta la presenza di circa 1,6 miliardi di uccelli selvatici in Europa, contando tutte le specie insieme. Nello stesso anno, l’industria europea della carne e delle uova ha allevato 1,9 miliardi di polli. Complessivamente, gli animali allevati nel mondo pesano circa 700 milioni di tonnellate, rispetto ai 300 milioni di tonnellate di esseri umani e meno di 100 milioni di tonnellate di grandi animali selvatici. Questo è il motivo per cui il destino degli animali da allevamento è un grande problema etico. Parliamo della maggior parte delle creature della Terra: decine di miliardi di esseri senzienti, ognuno con un mondo complesso di sensazioni ed emozioni, ma che vive e muore su una linea di produzione industriale. Quarant’anni fa, il filosofo morale Peter Singer ha pubblicato il suo libro “Animal Liberation”, un testo che ha instaurato un grande cambiamento nel pensiero di molte persone su questo tema. Singer ha sostenuto che l’allevamento industriale è responsabile di più dolore e miseria di tutte le guerre della storia messe insieme. Lo studio scientifico degli animali ha avuto un ruolo triste in questa tragedia. La comunità scientifica ha utilizzato la sua crescente conoscenza degli animali, principalmente per manipolare in modo più efficiente le loro vite al servizio dell’industria umana. Eppure questa stessa conoscenza ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che gli animali da allevamento sono esseri senzienti, con relazioni sociali complesse e sofisticati modelli psicologici. Essi possono non essere intelligenti come noi, ma certamente conoscono il dolore, la paura e la solitudine. Anche loro possono soffrire e anche loro possono essere felici. E’ giunto il momento di prendere a cuore queste scoperte scientifiche, perché tanto quanto cresce il nostro potere come essere umani, tanto più cresce la nostra capacità di danneggiare o creare un beneficio per gli animali. Per 4 miliardi di anni, la vita sulla Terra è stata governata dalla selezione naturale. Ora è governata da un sempre più intelligente disegno umano. La biotecnologia, la nanotecnologia e l’intelligenza artificiale consentiranno presto agli esseri umani di rimodellare tutti gli esseri viventi in modi nuovi e radicali, che ridefiniranno il senso stesso della vita. Se arriviamo a progettare questo nuovo mondo, dobbiamo prendere però in considerazione il benessere di tutti gli esseri senzienti e non solo quello dell’Homo sapiens.