Le alternative vegetali hanno un futuro promettente, lo dice anche l’industria della carne
Fra le tante opzioni sul piatto – ed è proprio il caso di dirlo – una delle più gettonate sembrerebbe proprio quella di investire ingenti fondi in un settore ancora poco esplorato da questo tipo di aziende: quello delle forme alternative di proteine e, in generale, degli alimenti più sostenibili.
Veniamo alla notizia. Lo scorso lunedì, Tyson ha annunciato un nuovo fondo d’investimento di circa 150 milioni di dollari chiamato Tyson New Ventures LLC. L’azienda ha dichiarato che questi fondi, complementari a quelli già esistenti, si focalizzeranno su quei progetti che stanno sviluppando tecnologie e modelli di business completamente innovativi.
Fra questi, un posto di rilievo va alla cosiddetta meatless-meat, la carne creata in laboratorio che permette di avere hamburger o altri lavorati senza uccidere o far soffrire nessun animale.
Il primo investimento di Tyson in materia di proteine vegetali risale ad un paio di mesi fa, quando si assicurò il 5% di Beyond Meat, un’azienda che produce burger, bistecche ed altri prodotti tradizionalmente a base di carne utilizzando però fonti completamente vegetali come piselli, fibra di carota e barbabietole.
In quell’occasione, il commento del vicepresidente delle strategie aziendali di Tyson, Monica McGurk, fu abbastanza eloquente: l’azienda si dichiarava felice di iniziare ad esplorare un segmento in forte espansione nel mercato delle proteine.
L’annuncio dello scorso lunedì, dunque, segna un altro passo di Tyson Foods in questa direzione.
«Questi fondi ci permetteranno di approcciare le nuove fonti di proteine e i nuovi sistemi di produzione del cibo, rimanendo comunque concentrati sul nostro business principale: quello della produzione di carni fresche, settore che sta vivendo una forte impennata per quello che riguarda la domanda dei consumatori».
McGurk ha continuato poi confermando come l’intenzione di Tyson sia quella di collaborare con gli imprenditori che stanno concentrando i propri sforzi in prodotti e tecnologie mirati a cambiare l’attuale sistema di produzione del cibo.
«Crediamo di poter accelerare la crescita di queste startup con le nostre competenze in aree come la ricerca culinaria, lo sviluppo, le analisi statistiche, le relazioni con i clienti e la distribuzione. Facendo questo speriamo di segnare un passo in avanti per il sistema del cibo statunitense e mondiale».
Tyson non è l’unica multinazionale a lanciarsi nel business dei cibi e dei sistemi di produzione alternativi. Campbell Soup, ad esempio, ha collocato ben 125 milioni di dollari in Acre Venture Partners, un fondo di investimenti di cui Campbell è l’unico partner e che ha finanziato con circa 10 milioni di dollari Back to the Roots, produttore di cereali e funghi da crescere in casa, e con circa 12,5 milioni Sample6, azienda che fornisce strumenti per il controllo sanitario della produzione agricola.
Kellogg’s è saltata sul treno a giugno con 1894 Capital, un fondo di circa 100 milioni di dollari destinati agli investimenti in nuovi marchi alimentari. Lo scorso ottobre, invece, General Mills ha lanciato il fondo 301 Inc, mettendo così un piede in Beyond Meat, Kite Hill e Gazpacho.
Se prendiamo i dati della Dow Jones Venture Source, solo nei primi nove mesi del 2016 i capitali investiti dalle multinazionali del cibo nelle nuove aziende alimentari ed agricole ammontano a circa 420 milioni di dollari.
Ci piacerebbe poter dire che tutto questo sia dettato da una svolta etica delle multinazionali coinvolte, ma sappiamo bene che non è così. Questi investimenti sono dettati da precise strategie di espansione, in un’ottica di diversificazione delle entrate e di conquista di nuovi mercati.
Nonostante questo, queste cifre ci dicono due cose molto importanti.
Se la domanda di cibi alternativi alla carne ed ai derivati animali cresce è perché parallelamente la richiesta di carne sta diminuendo, almeno in alcune aree del mondo.
Questo fenomeno è dovuto alla maggiore consapevolezza delle persone in merito alle implicazioni etiche, ambientali e sanitarie delle proprie abitudini alimentari. Il pubblico inizia a capire come l’attuale modello di produzione di carne e derivati sia insostenibile da qualsiasi punto di vista lo si voglia analizzare.
Gli allevamenti intensivi infliggono sofferenza ad animali innocenti, contribuiscono enormemente alla devastazione dell’ambiente e producono cibi spesso definiti dannosi dalle organizzazioni sanitarie di tutto il mondo.
Le persone iniziano ad esserne coscienti e se da un lato vogliono alimentarsi in modo sano, dall’altro desiderano anche spendere i propri soldi in modo più etico.
Un altro punto messo in evidenza da queste cifre è che ormai le persone che hanno deciso di alimentarsi in una maniera etica e compassionevole sono diventate tante.
Le multinazionali che possono permettersi questo genere di investimenti lavorano con numeri enormi: se decidono di esporsi per cifre che vanno dalle decine alle centinaia di milioni di dollari è perché ci vedono profitti molto alti. Investimenti di questo tipo non sono mosse dettate dall’impulso, bensì studi estremamente calibrati sostenuti da analisi dettagliate. In altre parole, la fetta di persone che ha deciso di consumare cibi più etici, più salutari e dall’impatto ambientale minore è uscita dalla dimensione di nicchia di mercato per diventare un vero e proprio settore in espansione degno di attenzione da parte dei grandi gruppi commerciali.
Tralasciando quanto si possa essere d’accordo o meno con il sostenere attraverso i propri acquisti aziende che comunque continuano a generare sofferenza per gli animali, il fatto che l’industria della carne riconosca alle alternative vegetali un posto degno delle proprie attenzioni fra i propri attuali investimenti è una conferma di quello che ripetiamo ormai da qualche tempo: informare le persone, mantenendo sempre un atteggiamento inclusivo, paga.
Siamo in tanti e saremo sempre di più. Il cambiamento che abbiamo innescato tutti assieme non potrà che progredire, ce lo ha appena confermato anche la più avida e crudele delle industrie: quella della carne.