Le dichiarazioni CHOC di Mauricio García Pereira, ex dipendente di uno dei più grandi macelli in Francia
“I primi ad essere uccisi sono i vitelli, così smettono di chiamarsi tra di loro con le loro madri“
Silvia Barquero, Direttrice esecutiva di Igualdad Animal in Spagna ha intervistato Mauricio Garcia Pereira che ha lavorato per sette anni al macello pubblico di Limoges, il più grande della Francia.
Dopo anni di lavoro in questo orrore Mauricio non ce l’ha più fatta e ha deciso di registrare e denunciare pubblicamente l’orrore che gli animali vivono nei macelli tra maltrattamenti e abusi, e dove tra i dipendenti l’uso di alcol e droghe sono la norma.
Insieme all’organizzazione francese per i diritti animali L214, Mauricio Garcia Pereira è riuscito a portare alla luce uno dei più grandi scandali dei macelli nella storia della Francia, e poi ha scritto un libro dal titolo Maltrato animal, sufrimiento humano per raccontare la sua esperienza.
Durante l’intervista lo sforzo che fa per ricordare e rivivere questa esperienza traumatica è visibile, ma grazie al suo coraggio Mauricio ha mostrato al mondo che cosa succede nei macelli, il valore della sua esperienza va a segnare un prima e dopo per gli animali.
Le sue parole potranno aprire la coscienza a moltissime persone, perché se questa intervista può insegnarci qualcosa è che il seme del cambiamento può essere trovato in ognuno di noi, anche dove sembra impossibile trovarlo.
Puoi guardare il video completo dell’intervista in Spagnolo, altrimenti continua a leggere l’articolo con le principali domande e risposte.
Mauricio Garcia Pereira, come sei arrivato a lavorare in un macello?
Ho dovuto accettare il posto di lavoro a 40 anni, poiché erano 3 anni che ero disoccupato, non avevo un lavoro fisso ed ero separato, facevo solo lavori temporanei e c’erano mesi in cui non riuscivo nemmeno a pagare gli alimenti alla mia ex moglie e dovevo chiedere aiuto a mia madre per farlo.
Alla fine ho trovato questo lavoro a tempo indeterminato nell’impianto di macellazione di Limoges, per me allora avere un lavoro fisso era di fondamentale importanza, la paga era molto buona e quindi ho accettato. Così nel 2010 ho iniziato a lavorare nel macello.
Cosa ti ha impressionato di più quando hai iniziato?
La cosa più impressionante all’inizio è stato vedere come il lavoro fosse un lavoro a livello industriale, come se fosse una catena di montaggio di una fabbrica, ma che uccide gli animali.
Dal momento in cui si stordisce l’animale, fino al momento in cui arriva alla cella frigorifera ci sono 25 postazioni di lavoro intermedie, più di 30 persone che lavorano e ognuno fa la propria parte, proprio come una catena di montaggio.
All’inizio ti fanno fare i lavori più semplici, sei il nuovo arrivato e non hai una formazione, ti assegnano un posto nella catena per osservare il lavoro.
Se non capisci qualcosa, chiedi. Osservi solamente all’inizio. Io ho iniziato nella parte “più facile” (se la compari con le altre, perché nessuna mansione lo è davvero) della catena: aspirare il midollo spinale degli animali.
In cosa consiste? Allora la catena si divide in due
- La “zona sporca”, dove l’animale arriva, viene ucciso e poi viene trattato con ancora la pelle, è intero.
- La “zona pulita”, dal momento in cui si rimuove la pelle e ci sono solo i muscoli, e vengono tagliati la testa e le zampe. In questa fase bisogna fare attenzione per non contaminare la carne.
Io lavoravo qui: col compito di inserire un tubo di plastica nel collo dell’animale che aspira il midollo. Dovevo farlo su 35 mucche all’ora, per farti capire la velocità della catena di montaggio. Hai un minuto e mezzo per aspirare il midollo del singolo animale. Finisci con uno, suona l’allarme e inizi con quello dopo.
Nella “zona sporca”, dove l’animale perde la vita, gli animali sanno che stanno per morire? Hai visto il terrore nei loro occhi?
Sì, certo che hanno paura, loro sono esseri sensibili, provano emozioni. Si vede già da quando arrivano i camion, non vogliono nemmeno salire, come se sentissero dall’odore, perché hanno una sensibilità olfattiva. Non vogliono nemmeno scendere quando arrivano. Ci sono sempre 3-4 impiegati che con il pungolo elettrico colpiscono gli animali nelle parti intime o nel retto per farli scendere, o li tirano dalla coda.
Alcuni animali spaventati non vogliono né scendere né avanzare. Nel macello dove lavoravo venivano uccisi mucche e vitelli e una volta separati li sentivi tutta la mattina che si chiamavano l’un l’altro. Per questo i primi ad essere uccisi (alle 5 del mattino) sono i vitelli, per far sì che smettano di chiamare le madri. Li senti comunque anche se hai le cuffie insonorizzanti e ci sono i rumori dei macchinari e sono dall’altra parte dell’impianto.
Se facessero vedere questo nelle pubblicità il consumo di carne calerebbe… Immagino che per te sia stato tremendo ascoltare tutto ciò.
Infatti io non ho mai voluto lavorare nella “zona sporca”, far scendere gli animali, mandarli nel corridoio della morte, fino al “box”. Ho sempre lavorato nell’ultima parte della catena. Piuttosto avrei preferito lavorare nella “budelleria” [Dove si tolgono budella ed organi interni] sei a contatto con le budella e deiezioni tutto il giorno. A mezzo km senti già l’odore, è davvero terribile, ma preferisco stare nei bassifondi, nella merda, piuttosto che scaricare gli animali e vederli nel braccio della morte.
“Se la morte ha un odore, questo è l’odore di un mattatoio.”
A causa dell’esperienza brutale e traumatica, le persone che lavorano dentro ai macelli consumano alcol e droga per dimenticare ciò che succede. È vero?
Certo, è una delle prime cose che mi ha scioccato. Quando sono arrivato il primo giorno, quando ti assegnano il posto vedi chi è il responsabile di produzione, braccio destro del direttore, vai nel suo ufficio e lui aveva dietro di sé un armadio, sopra l’armadio bottiglie vuote di whisky, come se fossero trofei. Ho scoperto poi che tutti i venerdì prendevano l’aperitivo per fare il briefing di tutta la settimana, i massimi responsabili (5 persone) si riuniscono e bevono whisky.
Ricorrono all’alcol, quello che si consuma di più è l’alcol. Ho visto anche un grande consumo di cannabis io stesso, l’ho ammesso nel libro, ho assunto cocaina che avevano portato i colleghi, per dimenticare e sopportare il dolore. Io so cosa significa avere animali, sono cresciuto in una fattoria e sono cresciuto con l’amore per questi animali, quando vedi cosa gli succede negli impianti di macellazione è un cambiamento radicale.
Nel tuo libro dici che sei stato testimone di come è stata uccisa una mucca che era incinta, quasi pronta a partorire.. e poi hai trovato il feto di un vitellino e questa cosa ti è arrivata al cuore tanto che lo hai denunciato al direttore e poi hai scoperto che era una cosa considerata normale.
Pensavo fosse un errore, che fosse saltato un controllo. Vicino alla mia postazione di lavoro c’era la sezione in cui si estraggono le interiora. Le mucche incinte le ammazzano nell’ultima mezz’ora di lavoro, sono le ultime che vengono uccise e questo viene fatto volutamente. A volte vedevo al lato dello stomaco una borsa rossa, che poi ho capito essere la placenta. Un giorno il mio collega ha per sbaglio aperto “la borsa rossa” e ho visto una zampa del vitello e ho capito che era incinta. Io non potevo dire niente, facevo il mio lavoro e basta. Solo dopo vari mesi, quando ho firmato il contratto a tempo indeterminato, un’estate mi mandarono nella “tripperia” e lì mi sono reso conto che, alla fine della giornata, insieme agli intestini c’erano anche placenta e feti, molti sono piccolissimi, quindi a volte il feto è della dimensione della tua mano o poco più. Altre volte invece no, erano pronti a nascere. Io ho dovuto gettarli insieme al resto dei rifiuti. Quindi ne ho parlato, e mi hanno detto che funziona così.
Questo accadeva normalmente? Era una pratica utilizzata a quale scopo?
Si tratta di una pratica comune per evitare che il prezzo della carne aumenti e per far ingrassare più facilmente le mucche, se sono incinte arrivano al peso di macellazione più in fretta. Le mucche incinte vengono di solito macellate all’ultimo minuto, prima della chiusura, perché sono più docili e perché i feti, spesso già molto grandi, riempiono i contenitori di smaltimento molto rapidamente.
Sei un esempio per altri lavoratori che si trovano ora nella posizione in cui ti sei trovato tu, che pensano “cosa posso fare, quello che vedo mi terrorizza, non posso continuare e voglio denunciare”. Raccontaci come è andata, come ti sei organizzato, cosa è successo quando la notizia è uscita, la tua denuncia è stata resa pubblica?
Nel 2016 ho denunciato pubblicamente, avrei voluto farlo prima, già dal 2014. Avevo già fatto foto con il cellulare, foto di vitelli pronti a nascere in mezzo ai rifiuti. Come fai a chiamare spazzatura un vitello pronto a nascere? Volevo denunciarlo già all’epoca. Durante quasi un anno ho fatto domande a clienti, servizi veterinari, piccoli allevatori: perché stanno facendo così? Non è normale, perché succede questo in modo sistematico? 300/400 mucche uccise al giorno, tra queste perché hai deciso di uccidere 20/30 mucche incinte sempre prima di chiudere?
Ma volevo denunciare tutto il sistema, non solo il fatto della macellazione di mucche incinte. Non avevo alcun appoggio nel 2015, avevo chiesto ad alcuni amici e mi avevano detto che “funziona così, è schifoso ma è così e ci sono cose più importanti”. Anche la mia famiglia mi ha detto: “se non reggi dai le dimissioni e cerca altro”. Ma io non volevo, dovevo denunciarli. Inoltre, in quasi 7 anni lì, ho visto che erano frequenti: incidenti sul lavoro, malattie fisiche dovute proprio al lavoro (tendinite, dolori alla schiena, cervicale) e problemi psicologici, era tutto all’ordine del giorno.
Ho scoperto L214 alla tv perché avevano filmato in un impianto di macellazione denunciando le irregolarità, e questo mi ha sorpreso. La presentatrice aveva detto che c’erano immagini forti. Ma io quando ho visto le immagini quasi mi son messo a ridere: questo vi sembra duro? Violenze come calci agli animali per farli muovere, lanciare gli agnelli per farli muovere… ho pensato, questo è duro?! Allora li ho contattati e mi hanno dato una gopro e ho potuto filmare quello che succedeva.
La denuncia è poi uscita sui giornali, in tv, ha avuto un grandissimo impatto sui media e sulle persone, e poi mi hanno proposto di scrivere un’autobiografia… L’editore mi ha detto: sei una persona ordinaria che ha fatto qualcosa di straordinario e voglio raccontare la tua vita.
Senza il tuo lavoro, il tuo coraggio, quello che accade all’interno del macello in cui lavoravi non sarebbe mai stato portato alla luce.
In quei posti non possono entrare occhi esterni, ma un altro problema è che non c’è supervisione per accertarsi che vengano rispettate almeno le norme minime di benessere animale europee, e se ci sono ispezioni spesso i macelli vengono avvisati prima. Tu che ci hai lavorato puoi dirci se è vero? Ci sono ispezioni? È permesso a tutti entrare o come funziona esattamente?
“È più facile entrare in un sottomarino nucleare che in un mattatoio.”.
Così diceva un ex ministro agricoltura francese. Non può entrare chiunque, solo se sei una persona interessata a lavorare in quel campo, ma dev’essere comunque supervisionato. Non puoi entrare e vedere quello che vuoi in ogni caso, ma ti mostrano solo quello che vogliono. Per quanto riguarda i servizi veterinari: hanno una regolamentazione insufficiente, controllano solo che le cose vadano bene per permettere il consumo da parte degli esseri umani, ma per il resto non c’è controllo, fin dal momento del carico degli animali negli allevamenti e nemmeno quando arrivano nei mattatoi per farli scendere. Ci sono animali che arrivano ma non dovrebbero neppure arrivarci.
Io ho visto animali nel corridoio della morte che non riuscivano nemmeno ad alzarsi, e se gli animali non riescono ad alzarsi li colpiscono, li tirano. Mettevamo una corda intorno alle corna dell’animale e in 20 lo tiravamo, lo tiravamo per portarlo fino al box in cui veniva ucciso.
Io ho ancora gli incubi, sento ancora le loro grida, rivedo i vitellini gettati nella spazzatura, rivedo gli animali appesi.
Mauricio Garcia Pereira è stato la voce di chi non ce l’ha, ha avuto il coraggio di denunciare dopo anni di lavoro in un macello. Sarebbe stato più facile per lui lasciare il lavoro, stare in silenzio e andarsene. Ma la sua determinazione e il suo coraggio hanno permesso di rendere pubblica la verità.
La verità rimane l’arma più forte a nostra disposizione: solo attraverso il lavoro investigativo possiamo continuare a portare alla luce cosa si nasconde dietro alle porte chiuse di allevamenti e macelli, altrimenti l’unica voce in campo rimarrebbe quella dell’industria della carne.
Continueremo ad entrare nei macelli con le nostre camere per riprendere la verità e smascherare la crudeltà di questi luoghi con nuove prove. Per poter continuare a fare tutto questo, mantenendo la libertà d’azione che serve per portare a termine un compito del genere, abbiamo bisogno anche del tuo aiuto.
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