L’industria indifendibile: anche il Pianeta chiede aiuto
Oggi è la Giornata Mondiale dell’Ambiente, indetta dalle Nazioni Unite per la prima volta nel 1974 per sensibilizzare i diversi paesi nel mondo sui maggiori problemi ambientali. Quest’anno il tema è la natura: «Immagina in che modo siamo parte della natura e in che modo ne dipendiamo intimamente» è l’esortazione che si legge sul sito ufficiale del World Environment Day. Al giorno d’oggi è chiaro perché la natura sia importante, in che modo dipendiamo dall’ambiente per qualsiasi attività e azione giornaliera. Quello che ancora non sembra chiaro tuttavia è la necessità assoluta di proteggere e preservare le risorse naturali offerte dal pianeta.
Ad oggi sono state molte le promesse, gli accordi internazionali, gli impegni di facciata propugnati da governi, istituzioni ed individui. Tuttavia, ben poco è stato messo in pratica per ridurre l’impatto che le attività umane hanno sull’ambiente: tante parole ma pochi fatti. Accanto alle giuste battaglie per l’energia rinnovabile, mobilità sostenibile e molto altro, l’esempio più eclatante della mancanza di lungimiranza di noi esseri umani è il settore alimentare, in particolare quello della carne.
Consumare carne implica lo sfruttamento e l’uccisione di miliardi di animali, e dunque non è etico. Consumare carne nelle quantità a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni provoca problematiche alla salute, e dunque non è sano. Se questi due motivi non bastassero, analizziamo più nel dettaglio il terzo gravissimo motivo per cui l’attuale consumo di carne non è sostenibile, ovvero il suo enorme impatto ambientale.
L’industria della carne è uno dei settori più inquinanti e insostenibili tra tutte le attività umane. Questo triste primato è dovuto a diverse cause concatenate che rendono questo settore indifendibile non solo dal punto di vista etico e salutistico ma anche da quello ambientale.
In primis, l’impoverimento delle risorse idriche. Per produrre un chilo di manzo servono 15.000 litri d’acqua, per produrre la stessa quantità di pollo ce ne vogliono tra i 3.500 e i 6.000; servono solamente 450 litri d’acqua per produrre un chilo di mais. Il 60-80% dell’acqua dolce del pianeta è destinato all’agricoltura, compresa dunque la produzione di mangimi per gli animali negli allevamenti e quella utilizzata per abbeverare gli animali, per pulire gli stabilimenti e per i processi di lavorazione della carne stessa.
Parlando di produzione di mangimi, non ci si può dimenticare dei terreni coltivati per produrre mangimi, principalmente monocolture, che generano deforestazione, desertificazione del suolo e infine enorme perdita di biodiversità. Secondo un recente articolo sulla rivista Nature, le attività umane stanno provocando la sesta estinzione di massa di decine di migliaia di specie viventi nel mondo, incluso il 25% dei mammiferi e il 13% degli uccelli. Questa enorme e catastrofica perdita di biodiversità è causata in buona parte dall’inquinamento e dalla perdita di habitat, causati a loro volta dalle monoculture di mangimi e altre attività legate all’industria della carne.
Altra conseguenza insostenibile degli allevamenti è la produzione di rifiuti solidi. L’industria della carne produce rifiuti tossici, organici e inorganici, derivanti da tutte le attività di allevamento, produzione, imballaggio e trasporto. Alcuni di questi rifiuti venivano prodotti anche con le tecniche estensive tradizionali, ma le quantità erano talmente ridotte che l’ambiente locale era in grado di assorbirne gli effetti e mitigarne l’impatto. Questo non avviene negli allevamenti intensivi, dove l’accentramento e intensificazione della produzione provoca un’eccessiva produzione di rifiuti il cui smaltimento è insostenibile nel lungo termine. Ogni anno, solamente il settore dei bovini e suini genera quasi il triplo dei rifiuti organici di quelli prodotti dalla popolazione umana.
E ancora, l’allevamento di animali è uno dei maggiori responsabili di emissioni di gas serra ad opera umana. Secondo i dati della FAO, l’industria della carne produce tra il 18% e il 14,5% del totale delle emissioni antropiche di gas ad effetto serra, una percentuale che equivale o addirittura supera quella prodotta dall’intero settore dei trasporti.
Tra questi, i gas di maggiore impatto sono: l’anidride carbonica, il cui impatto è dovuto soprattutto alla deforestazione necessaria per fare spazio alle coltivazioni di mangimi per gli animali negli allevamenti; il metano, con un effetto serra 23 volte superiore all’anidride carbonica, il cui innalzamento è dovuto soprattutto ai processi digestivi del bestiame da allevamento: l’ossido di diazoto, con un effetto serra 296 volte più potente dell’anidride carbonica, la cui produzione deriva principalmente dal letame e altri scarti organici negli allevamenti. L’aumento delle emissioni di questi e altri gas causato dall’industria della carne va dunque a incidere terribilmente sui cambiamenti climatici, buco nell’ozono, pioggia acida e altri noti problemi ambientali.
Infine, il settore dei trasporti che si collega imprescindibilmente a quello alimentare, per due motivi principali. Innanzitutto il trasporto dei mangimi destinati agli animali negli allevamenti. Il 70% degli alimenti per gli animali in Europa deve essere importato da altri paesi, soprattutto soia e soprattutto dalle monoculture del Sud America. A questo si unisce il trasporto di animali vivi e di prodotti animali, che segue la logica delle importazioni ed esportazioni internazionali ed intercontinentali.
Oggi è la Giornata Mondiale dell’Ambiente e la necessità di una seria riflessione si palesa ancora di più. Se, come abbiamo visto, la produzione di carne è già insostenibile allo stato attuale, immaginate come sarà la situazione fra qualche decennio, considerando che il consumo di prodotti di origine animale è destinato ad aumentare di pari passo con l’aumento della popolazione.
Un report delle Nazioni Unite del 2010 stabilisce chiaramente che «una riduzione sostanziale dell’impatto umano sull’ambiente è possibile solamente con un cambio sostanziale di dieta a livello globale, un cambiamento che si allontani dai prodotti animali». Perché ciò avvenga serve educazione alimentare, sensibilizzazione e una seria presa di coscienza dei governi e delle istituzioni internazionali. Disincentivare il consumo di carne è di fondamentale importanza non solo nei paesi occidentali ma anche in quelli in via di sviluppo, che diventeranno i principali attori nel futuro del pianeta.
«Salvare il pianeta, alleviare la povertà, far crescere l’economia… queste sono parti della stessa battaglia. Dobbiamo analizzare insieme i cambiamenti climatici, la carenza d’acqua e di energia, la salute globale, la sicurezza alimentare e l’emancipazione femminile. La soluzione per uno di questi problemi deve essere la soluzione per tutti» (Ban Ki-Moon, ex segretario generale delle Nazioni Unite).