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Lo scandalo ElPozo non è un caso isolato


Maiali deformati, costretti a vivere con cisti e ascessi giganti. Abbandonati alle sofferenze più terribili in nome della produzione di “pregiati” prosciutti spagnoli. Tutto questo è emerso dopo il lancio della nostra campagna contro El Pozo, l’azienda spagnola accusata di maltrattamenti e abusi sui maiali allevati per la produzione di carne. Ma purtroppo quello spagnolo non è un caso isolato. L’industria della carne è piena di storie come questa, eppure sono in tanti a sostenere il contrario. Ogni volta la risposta è sempre la stessa: “Si tratta di un solo allevatore che non rispetta le regole su migliaia di produttori.”

Tutto questo non è vero. L’industria della carne nasconde da sempre molti segreti. La prima persona ad aver rivelato che cosa si nasconde dietro alle porte dei macelli è stato Upton Sinclair, nel libro, diventato poi un classico, “The Jungle”, pubblicato nel 1906 dopo settimane di lavoro sotto copertura nei macelli di Chicago. Grazie alla sua testimonianza, il pubblico americano scoprì che nell’industria della carne gli operai immigrati erano costretti a lavorare in condizioni di schiavitù e che la situazione sanitaria era talmente precaria da mettere a serio rischio la sicurezza alimentare americana. Già all’epoca, nessuno voleva pubblicare questo libro. Ma nonostante abbiano cercato di mettere a tacere la potenza della voce di Sinclair, il suo messaggio arrivò ai lettori, e arriva ancora oggi grazie al lavoro di See Sharp Press, casa editrice anarchica e indipendente americana.

Sono passati tantissimi anni da quella prima coraggiosa investigazione, eppure ci sono ancora gli stessi problemi. Com’è possibile? Ogni volta che esce un’investigazione, una testimonianza dai macelli e dagli allevamenti, l’industria risponde sempre allo stesso modo: sono solo casi isolati.

Ma noi sappiamo che è l’intero sistema a non funzionare. Basta guardarsi intorno e scavare nella memoria. Nel 2012, Animal Equality svelò che in un allevamento di maiali in Spagna, nella zona della Murcia, scrofe incinte erano costrette a subire torture e sevizie da parte di operatori che – tra le risate generali – praticavano a turno veri e propri atti di sadismo sugli animali indifesi. Era il cosiddetto “caso El Escobar”. Sono passati sei anni, e i colpevoli sono stati condannati a un anno di carcere tre anni di interdizione dal lavoro con animali. In quel caso, i colpevoli sono stati riconosciuti e arrestati, ma anche nel nostro paese l’industria dell’allevamento di maiali nasconde un volto a dir poco mostruoso. Due mesi fa abbiamo mostrato delle immagini sconvolgenti, che raccontano bene quello che ancora avviene all’interno dei macelli italiani, in questo caso in una località della Lombardia. Nel video, ottenuto grazie al leak di un operatore, dopo un primo (inefficace) stordimento, si vede chiaramente come un maiale venga sgozzato e lasciato agonizzare a terra per vari minuti nell’indifferenza generale. Non si tratta di un caso isolato. Sono più di otto milioni i maiali che vengono allevati e macellati nel nostro paese, e quell’immagine di sofferenza racconta alla perfezione tutto quello che devono subire. Ma, oltre alle immagini, ci sono molti dati concreti che non riguardano solamente i prosciutti pregiati venduti da ElPozo in Italia su Amazon, ma anche i prodotti nostrani.

Nel 2015 – per la prima volta in Italia – abbiamo svelato quello che si nasconde dietro alla produzione dei prosciutti italiani, dopo mesi di lavoro investigativo in Nord Italia in collaborazione con la giornalista Giulia Innocenzi e la squadra di giornalisti di Announo. I nostri investigatori scoprirono anche in quel caso una situazione agghiacciante, rivelando le condizioni di estrema gravità in cui versa un settore che vanta di produrre carne d’eccellenza e di altissima qualità, come il Prosciutto di Parma. Nel video infatti si vede chiaramente che in alcuni allevamenti si trattava di maiali cresciuti proprio all’interno della filiera del consorzio e marchiati con i simboli che indicano la destinazione per la produzione di prosciutto certificato. Negli allevamenti di Brescia, Mantova e Modena e nei macelli visitati dai nostri investigatori abbiamo trovato condizioni di sporcizia estrema, infestazioni di scarafaggi e topi e animali coperti da cisti, pustole e con prolassi anali gravissimi.

Nelle zone di ingrasso, il cibo con cui venivano nutriti i maiali era mischiato con urine e feci, che venivano lasciate nelle stesse vasche del mangime, mentre nelle zone di gestazione le scrofe venivano costrette a passare tutta la gravidanza e l’allattamento in piedi, così provate dal loro stesso peso che le zampe anteriori e posteriori cedevano in continuazione. Per non parlare delle condizioni dei piccoli, schiacciati uno sull’altro come spazzatura, abbandonati senza cure e, quando morti per gli stenti e la fatica, gettati nei secchi e lasciati per giorni a marcire.

Nel Nord Italia viene allevato l’80 per cento dei maiali italiani e queste sono le condizioni in cui sono costretti a vivere negli oltre 100.000 allevamenti dislocati sul territorio. È per tutti questi motivi che abbiamo scritto delle richieste molto precise rivolte ai ministri della Salute e dell’Agricoltura. È necessario che anche l’Italia come primo passo rispetti le norme europee, fornendo a questi animali un ambiente migliore, dove ricevano stimoli e possano esprimere i propri comportamenti naturali, ma soprattutto un contesto sano e sicuro. Ogni scelta del consumatore può essere fondamentale per aiutare Animal Equality a fermare tutto questo e a salvare più animali possibile. Per questo motivo il primo passo è smettere di consumare carne di maiale. Ma non è l’unico. La nostra petizione sui macelli chiede anche l’introduzione di un sistema telecamere a circuito chiuso e una serie di misure che garantiscano una vita migliore a questi animali.

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