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Aviaria negli allevamenti intensivi: in Russia casi di contagio nell’uomo


L’influenza aviaria è una malattia dei volatili provocata da virus dell’influenza di tipo A e – seppur raramente – può trasmettersi dagli animali  anche all’uomo. È quello che è avvenuto in Russia dove sono stati riportati i primi casi di contagio di un ceppo di influenza aviaria, l’H5N8, passato dal pollame all’uomo.

I funzionari russi hanno detto che sette lavoratori di un allevamento di pollame nel sud del paese sono stati infettati a seguito di un’epidemia avvenuta a dicembre.

“Tutte e sette le persone… ora si sentono bene”, ha riferito  il capo dell’organo di controllo della salute dei consumatori della Russia, Anna Popova. Non c’era alcun segno di trasmissione tra esseri umani, ha detto la signora Popova, aggiungendo che il caso è stato segnalato all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ha anche elogiato “l’importante scoperta scientifica” del laboratorio russo che ha isolato il materiale genetico del ceppo dai lavoratori infetti.

“La scoperta di queste mutazioni quando il virus non ha ancora acquisito la capacità di trasmettersi da uomo a uomo dà a tutti noi, al mondo intero, il tempo di prepararsi a possibili mutazioni e di reagire in modo adeguato e tempestivo”

Anna Popova

Se anche altri ceppi di influenza aviaria infettano occasionalmente gli esseri umani e hanno portato a morti, questo è il primo rapporto di trasmissione del ceppo H5N8, che si è dimostrato altamente contagioso e letale nei volatili.

Negli ultimi anni, i virus aviari che hanno provocato un certo numero di infezioni e alcune morti nell’uomo sono stati l’A/H5N1 (circolante dal 1997) e l’A/H7N9 (circolante dal 2013). 

Il rischio che il virus si trasmetta all’uomo è molto basso, e riguarda persone in stretto contatto con animali ammalati o morti di influenza aviaria. In Italia, ad esempio, dal 1999 ad oggi, si sono verificate diverse epidemie di influenza aviaria in polli e tacchini, ma nessun caso grave tra il personale presente negli allevamenti infetti. 

Tuttavia, vista la reale minaccia, il Ministero della Salute ed il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria in Italia hanno predisposto misure per mitigare e contenere i focolai negli allevamenti in cui sono comparsi e per controllare le persone esposte ai virus dell’influenza aviaria.

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Il virus “dietro casa”: il pericolo è reale

Ormai siamo tutti tristemente a conoscenza di quale possa essere la forza devastante di un piccolo virus che con un salto di specie passa dagli animali all’uomo.

Viviamo quotidianamente gli effetti della pandemia di COVID 19, che si è sviluppata proprio con uno spillover da animale ad umano, anche se ancora non si sa con certezza da quale specie  sia avvenuto il salto verso l’essere umano.  

Mentre ci preoccupiamo di come sconfiggere e uscire da questa grave situazione, però, ci dimentichiamo troppo spesso di riflettere su come in tutto il mondo siano disseminate delle vere e proprie “polveriere” di nuovi pericolosi virus, pronte ad esplodere: gli allevamenti intensivi.

E non siamo solo  noi a dirlo: in un report pubblicato nel luglio scorso le Nazioni Unite hanno inserito l’allevamento intensivo tra i fattori di rischio che provocano l’insorgenza di pandemie.

Il motivo? È chiaro: a causa dell’altissima densità e della bassa diversità genetica degli animali che vi sono allevati, tali allevamenti offrono uno spazio eccellente per la rapida diffusione dei virus. Questo fenomeno è favorito anche dalla altissima intensità della produzione, che provoca uno stress cronico a questi animali e di conseguenza indebolisce il sistema immunitario. 

Pensiamo il caso dell’aviaria ad esempio: da mesi ormai l’influenza aviaria dilaga negli allevamenti di tutta Europa e di molti Paesi asiatici. 

Il virus è stato rinvenuto nel nostro continente già nella primavera del 2020 e a gennaio ad esempio in Francia, erano stati registrati più di 260 focolai negli allevamenti concentrati nel sud-ovest del Paese dove si trova il principale polo produttivo del fegato d’oca. Per arginare la diffusione dell’epidemia erano stati uccisi più di un milione di animali tra oche e anatre

L’alta patogenicità del virus e le condizioni in cui sono costretti a vivere milioni di polli, galline, oche e anatre in tutta Europa rendono però la diffusione difficile da arginare e il contesto generale in cui gli animali vengono allevati favorisce la possibilità di una mutazione del virus.

Mutazione del virus, anche questo un termine che abbiamo tristemente imparato a conoscere,  significa che un virus può cambiare. Ricordiamo ad esempio quando alcuni mesi fa in Danimarca diverse persone sono state contagiate da una nuova mutazione di Coronavirus, proveniente dai visoni allevati per le loro pellicce. Stando alle indagini svolte il virus sarebbe mutato in questa specie e per impedire che continuasse a farlo, con i rischi correlati, l’intera popolazione di visoni – 17 milioni di animali – sono stati abbattuti. 

Perché allora se è già stato riconosciuto che gli allevamenti intensivi sono una delle possibili cause per lo scatenarsi di future epidemie ancora miliardi di animali in tutto il mondo vengono tenuti rinchiusi, stipati in capannoni, per la produzione alimentare? 

Come si legge in un recente rapporto per l’Organizzazione Mondiale della Sanità:

«Se è vero che “il passato è un prologo” allora c’è un pericolo molto reale di una pandemia in rapida progressione, altamente letale, causata da un agente patogeno respiratorio che ucciderà tra i 50 e gli 80 milioni di persone e in un colpo solo quasi il 5 per cento dell’economia mondiale. Una pandemia di queste proporzioni sarebbe un disastro, causando il caos diffuso, l’instabilità e l’insicurezza. Il mondo non è preparato per questo».

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Prevenire la prossima pandemia 

Dei circa 1.400 agenti patogeni noti alla medicina moderna, più di 800 (~60%) sono derivati da animali. Quasi ogni anno vengono scoperti nuovi agenti patogeni di origine animale che rappresentano una grave minaccia per l’uomo. Le malattie pericolose causate da virus zoonotici oltre all’aviaria comprendo anche la suina, la sindrome respiratoria acuta grave SARS e vari tipi di febbre emorragica, tra cui l’Ebola.

Non possiamo più ignorare questo fatto, cioè che il modo in cui ci rapportiamo con gli animali (e più in generale la natura) ha un impatto concreto e diretto anche sulle nostre vite e sulla nostra salute. Speravamo che questo dopo l’esplosione di questa pandemia fosse più chiaro a tutti, ma la strada è ancora molto lunga. 

Noi di Animal Equality non ci fermeremo e continueremo a lavorare con le istituzioni italiane ed europee per far sì che cambiamenti concreti e tempestivi vengano messi in atto in favore degli animali ancora costretti negli allevamenti.

Purtroppo ad oggi l’unica soluzione adottata in tutto il mondo per fronteggiare le malattie che colpiscono gli animali è quella di ucciderli, abbatterne a centinaia o migliaia e – si potrebbe dire – nascondere i loro corpi come si fa con la polvere sotto il tappeto. 

Ma basta che il virus muti una sola volta, in un solo animale nel mondo, per trovarci di fronte alla fotocopia di quello che viviamo oggi, o forse anche peggio. 

Anche se il rischio di contagio nell’uomo si stima essere “basso” quale percentuale di rischio siamo disposti a tollerare quando a essere in gioco è la nostra sopravvivenza? 

Ognuno di noi ha il potere di fare delle scelte: basta qualche piccolo cambiamento nello stile di vita di ognuno di noi. Tre volte al giorno, abbiamo l’occasione di scegliere che cosa mangiare, che cosa mettere nel nostro carrello della spesa, quali industrie finanziare. 

Scegliere consapevolmente significa scegliere di costruire un futuro migliore per gli animali, il pianeta e per le future generazioni.


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