Cosa accade davvero negli allevamenti italiani
Le pratiche più crudeli dell’industria dietro le eccellenze del Made in Italy
Gli animali coinvolti all’interno dell’industria alimentare vivono ogni giorno condizioni di sfruttamento estreme. Rinchiusi in gabbia, privati della possibilità di esprimere i propri comportamenti naturali e del contatto con i propri cuccioli, ammassati in spazi sovraffollati e spesso vittime di maltrattamenti, bovini, suini, ovini, polli, galline e pesci subiscono costantemente gravi danni psico-fisici a vantaggio del profitto di allevatori e produttori.
In questo articolo, sveliamo alcune tra le principali cause di sofferenza che gli animali allevati in modo intensivo sono costretti a subire sistematicamente e quotidianamente e di cui i consumatori sono spesso del tutto tenuti all’oscuro da parte dell’industria.
L’uso delle gabbie
In Italia ci sono ancora quasi 20 milioni di galline confinate in gabbia, tra i 16 e i 20 milioni di conigli lo e stesso destino è riservato a centinaia di migliaia di scrofe e di vitellini, senza che nulla di tutto questo – al netto delle uova in gabbia – venga segnalato ai consumatori.
Guarda come vivono le galline allevate in gabbia in Italia
Le immagini documentate negli allevamenti attraverso le inchieste pubblicate dal team investigativo di Animal Equality mostrano come il confinamento in gabbia impedisca agli animali di esprimere i comportamenti naturali più basilari, che siano i bagni di sabbia per le galline o la possibilità di creare un nido per i cuccioli per le scrofe. Nel caso dei conigli, addirittura il 99% di essi vive in gabbie bicellulari senza alcuna possibilità di muoversi o saltare.
Le gabbie sono considerate un sistema arcaico e ingiusto, che anche la Commissione europea vuole vietare entro il 2027 in tutta l’Unione europea. L’Italia deve fare la propria parte allontanandosi il prima possibile da un sistema non etico e che condanna ogni giorno nel nostro Paese milioni di animali a sofferenze estreme.
I maltrattamenti e le violenze sistematiche
All’interno degli allevamenti – migliaia su tutto il territorio nazionale – abbiamo documentato continui maltrattamenti da parte degli operatori, con animali picchiati, seviziati, legati, trascinati per le zampe e abbandonati a morire tra gli stenti. Per il sistema dell’industria intensiva la vita di un animale malato non vale nulla, nemmeno la spesa per l’eutanasia praticata da un veterinario, pratica che sarebbe in grado di risparmiare loro enormi sofferenze.
Guarda i maltrattamenti subiti dai maiali in un allevamento italiano
In altri casi, abbiamo mostrato come gli animali malati siano semplicemente lasciati morire, perché l’industria non vuole spendere denaro né per cibo e acqua né per eventuali cure. All’interno della produzione di pollo poi ci sono casi di animali che non crescono a sufficienza e vengono lasciati morire proprio perché non raggiungerebbero il peso di macellazione accettabile per la produzione di carne: abbeveratoi e mangiatoie vengono infatti alzati dal terreno in base a quelli che, in media, sono i tassi di crescita degli animali. In questo modo, gli individui che non rientrano negli standard di crescita previsti vengono semplicemente lasciati morire.
La selezione genetica esasperata
Nell’industria della carne la selezione genetica è diventata sempre più estrema. Dagli anni ‘50-’60 in poi gli animali allevati sono stati via via incrociati e modificati geneticamente per fare in modo che la resa del prodotto da essi ricavato fosse sempre più elevata, portando così le galline ovaiole a produrre fino a oltre 300 uova all’anno e le mucche a produrre quantità di latte inimmaginabili prima.
Anche per la produzione di carne la dinamica alla base è stata alla stessa, senza alcuna cura del prezzo che i corpi degli animali pagano per questa produzione estrema.
Guarda la nostra inchiesta sulla crudele selezione genetica a cui sono sottoposti i polli:
Nel corso degli anni i polli infatti sono stati trasformati in veri e propri petti ambulanti: il loro petto e le loro cosce crescono sempre di più, sempre più in fretta, ma lo scheletro rimane di fatto quello di un pulcino. La muscolatura abnorme finisce quindi per schiacciare non solo le ossa, portando a zoppie e rendendo impossibile per loro qualunque movimento e posizione naturale, ma anche gli organi interni, concorrendo quindi anche alla morte prematura in allevamento per complicazioni cardiache e polmonari. Negli allevamenti intensivi di polli, la mortalità è spesso altissima in tutte le fasi di crescita e la brevissima vita di questi teneri animali – che spesso sviluppano l’imprinting proprio su quegli operatori che poi li manderanno al macello, perché nascendo in incubatoio non conosceranno mai la loro mamma – è costellata di sofferenze inutili e inaccettabili.
La separazione tra mamme e cuccioli
Sia nella produzione di latte sia in quella di salumi e carne di maiale si assiste ad una drammatica separazione tra madri e cuccioli. I vitellini vengono spesso separati a poche ore dalla nascita, lasciando la madre disperata che muggisce per giorni cercando il proprio figlio, anch’esso scioccato dall’assenza di cure materne. Nella maggior parte dei casi, i vitellini passano poi le prime settimane di vita in gabbie singole, senza alcuna interazione sociale con i propri simili e venendo alimentati con latte artificiale. La madre invece finirà per essere munta più volte al giorno, in sistemi meccanizzati e al chiuso, dove morirà stremata nel giro di massimo 4 anni.
Guarda la reazione di questa mucca separata dal suo cucciolo
Nella produzione di carne di maiale invece le scrofe sono state trasformate in vere e proprie macchine da riproduzione: confinate in gabbia, danno alla luce sempre più cuccioli, che possono interagire con lei solo attraverso le sbarre per succhiare il latte. Gli operatori poi strappano i cuccioli alle scrofe prendendoli di peso e gettandoli in recipienti per il trasporto all’ingrasso, generando profondo stress non solo nelle madri, che spesso mostrano comportamenti stereotipati in gabbia fino all’autolesionismo, ma anche nei piccoli.
Ci sono poi settori, come quello avicolo, dove i pulcini non conosceranno mai la loro mamma: la schiusa infatti avviene all’interno di incubatoi completamente meccanizzati e il calore del contatto materno rimarrà per tutta la loro breve vita qualcosa di sconosciuto.
La mancanza di controlli adeguati
Ad aggravare le condizioni di malessere in cui gli animali allevati in gabbia sono costretti a vivere c’è l’assenza di controlli adeguati e di monitoraggi frequenti. Secondo quanto riportato anche dal Ministero della Salute, i controlli per specie all’interno degli allevamenti italiani oscillano tra il 5 e il 15% ogni anno, un dato che mostra come la netta maggioranza degli allevamenti italiani non sia oggetto di controlli scrupolosi e costanti nel tempo.
Come Animal Equality, chiediamo invece che i controlli avvengano a sorpresa, non annunciati, e che venga incrementato il loro numero non solo per la tutela degli animali, ma anche per verificare adeguatamente che queste strutture intensive non sversino i liquami illegalmente nel territorio circostante e che siano ancora adeguate a garantire la sicurezza degli animali confinati. Numerosi casi di crolli e incendi che abbiamo denunciato nel corso di questi anni mostrano infatti come queste siano strutture fatiscenti e rischiose per la sicurezza degli animali allevati e delle persone.
Una fine ingiusta: il trasporto e la macellazione
Dopo una vita trascorsa prevalentemente tra le sbarre di una gabbia angusta e sporca, gli animali allevati a scopo alimentare sono destinati alla macellazione. I loro corpi, spesso stremati dallo stress, vengono caricati ancora vivi su camion che viaggiano per molte ore e a volte giorni verso i luoghi in cui gli animali verranno macellati. Le condizioni di trasporto a cui vengono sottoposti sono, anche in questo caso, infime e prive di opportuni controlli.
Guarda come viaggiano gli agnelli destinati al macello
Tra temperature estreme e cure veterinarie inesistenti, come documentato da Animal Equality insieme ad Animal Welfare Foundation ed ENPA, gli animali trasportati vivi viaggiano nel terrore e nel disagio più totali senza lettiera, esposti alle intemperie e senza accesso al cibo e all’acqua. Ammassati gli uni sugli altri, con le zampe incastrate e le teste schiacciate contro il soffitto dei camion, non sono purtroppo rari i casi di animali che muoiono lungo il tragitto e che non vengono opportunamente segnalati.
Spesso ad essere trasportati per lunghe tratte sono cuccioli indifesi, ancora non svezzati. Nel corso del 2021, ad esempio, sono stati più di 400.000 gli agnelli trasportati da Paesi come Ungheria, Romania, Polonia e Spagna verso i macelli italiani. Si tratta di una pratica obsoleta, crudele e inutile che coinvolge quasi 2 miliardi di animali tra ovini, bovini, polli, e maiali che ogni anno vengono trasportati vivi su camion o navi in tutta l’Unione Europea e dall’Europa verso Paesi esteri.
L’impatto ambientale degli allevamenti intensivi
Gli allevamenti intensivi danneggiano anche l’ambiente. La maggiore concentrazione di inquinamento in Italia riguarda non a caso il territorio lombardo, dove fra Milano, Mantova, Brescia e Cremona si conta la metà della produzione nazionale di suini e un quarto della produzione di bovini. Secondo i dati Arpa, la fonte principale di ammoniaca generata dal settore agricolo in Lombardia è proprio l’allevamento di animali, che rappresenta circa il 57,9% del totale delle emissioni di ammoniaca originate da questo settore economico.
Guarda il nostro reportage sull’impatto ambientale degli allevamenti in Lombardia
Come mostra un report pubblicato dall’Agenzia europea dell’ambiente, Cremona è una delle tre città con la peggiore qualità dell’aria in Europa, mentre Brescia e Pavia risultano tra le ultime dieci. L’Italia, che si è già dimostrata inadempiente rispetto alle direttive europee, è stata sottoposta a un’ulteriore procedura di infrazione per non aver rispettato la direttiva nitrati dell’Unione europea, una problematica legata al mancato smaltimento e gestione adeguato dei liquami zootecnici.
Spandimento di liquami ed emissioni di ammoniaca e gas serra sono infatti due fenomeni connessi. Secondo quanto riportato da Greenpeace sulla base dei dati ISPRA, maggiori sono gli spandimenti di reflui zootecnici, maggiori sono le emissioni di ammoniaca, che a loro volta portano a incrementare il livello di particolato e quindi lo smog nell’aria. A tutto questo si aggiungono i già citati reflui zootecnici, responsabili dell’acidificazione del suolo e dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, che hanno anche un grave impatto sulla qualità dell’aria all’interno degli allevamenti sulle vie respiratorie degli animali e degli operatori.
Come Animal Equality lavoriamo ogni giorno per porre fine alla sofferenza degli animali sfruttati sistematicamente all’interno dell’industria alimentare, di cui le pubblicità spesso raccontano al contrario una vita trascorsa all’aria aperta nei prati che in realtà non esiste affatto. Attraverso il nostro lavoro di inchiesta mostriamo al pubblico cosa si cela davvero tra le mura degli allevamenti intensivi e dei macelli chiedendo di fare di più per il benessere di questi animali.