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Il costo nascosto dell’industria della carne in Italia


Su Sentient Media spiegato il vero prezzo – economico e ambientale – che l’Italia paga a causa dell’industria della carne. Lo abbiamo tradotto per te.

Articolo originale su The Sentient Media, scritto da Bruno Decc

Ogni anno, in Italia, quasi 600 milioni di animali vengono uccisi e venduti per un totale di 2,6 milioni di tonnellate di carne. L’italiano medio acquista circa 76 chilogrammi di carne ogni anno, e l’industria genera circa 30 miliardi di euro all’anno da questo commercio. Ma c’è un problema: tutto questo denaro non può nemmeno iniziare a coprire i costi ambientali e sociali che la produzione di carne impone. Come è possibile? 

Il 20 aprile 2021, la Lega Anti Vivisezione (o LAV in breve), ha pubblicato il primo studio scientifico indipendente sui costi ambientali e sanitari della carne prodotta e venduta in Italia. 

Gli economisti da tempo calcolano il costo dei danni e pesano e classificano i costi nascosti imposti dalle aziende (noti anche come esternalità). Un team di ricercatori ha studiato i vari impatti ambientali della produzione di carne, come la riduzione dello strato di ozono, l’acidificazione della terra, le radiazioni ionizzanti, l’occupazione del suolo e il consumo di acqua. Il risultato? 

Secondo i loro calcoli, l’industria italiana della carne costa circa 17,5 miliardi di euro all’anno per la lavorazione e il consumo di manzo, maiale e pollo italiani. Il costo annuale della salute per l’Italia in termini di perdita di anni di vita e di anni di vita in buona salute a causa della carne era di circa 19,1 miliardi di euro. Per raggiungere questa cifra, i ricercatori hanno considerato il consumo pro capite di carne, e l’incidenza che questi consumi hanno sulla comparsa di ictus, diabete di tipo 2 e cancro colorettale. 

Questo studio conferma anche che l’industria della carne in Italia ha un impatto finanziario sulle comunità locali, troppo spesso non informate dei danni ambientali alle loro proprietà o alla fornitura di acqua e ai danni che queste possono causare alla loro salute.

L’allevamento e la lavorazione della carne in Italia generano circa 30 miliardi di euro all’anno. Ciò significa, secondo questa nuova ricerca, che l’industria della carne in Italia costa più di quanto guadagna

Alla fine del 2020, SGMARKETING ha valutato che il ritorno dell’allevamento e della lavorazione della carne del paese è di 25 miliardi di euro all’anno. La piattaforma di dati commerciali Statista aveva una stima più favorevole per il 2021: 36,4 miliardi di euro con un tasso di crescita annuale del -0,4% fino al 2025. Il calcolo del rapporto LAV sui costi sanitari e ambientali della carne per il pubblico italiano va da 19,1 a 92,3 miliardi di euro, con una media di 36,6 miliardi di euro. Questi numeri pongono l’industria della carne in Italia in deficit, con costi nascosti che vanno dal 60 al 300% rispetto alle entrate totali dell’industria.

L’attuale regolamentazione dell’industria della carne in Italia contraddice la sua stessa strategia di crescita e gli obiettivi sociali. Nel 2015, l’Italia, insieme a 193 paesi membri dell’ONU, ha firmato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile in cui uno degli obiettivi auspicava un aumento del 7% della crescita del prodotto interno lordo (PIL) insieme alla protezione dell’ambiente e alla priorità della salute pubblica. Ma l’industria della carne in Italia incide negativamente su queste due aree prioritarie, come dimostrato dalla ricerca, e costituisce un peso economico abbassando il PIL annualmente. 

Osservare le ripercussioni di tutto questo non è difficile: tra il 31 ottobre 2010 e il 2 novembre 2010, l’intera regione Veneto è stata colpita da forti e persistenti piogge che hanno provocato alluvioni e numerose frane. Le province di Verona, Vicenza e Padova hanno subito i maggiori danni, causando tre vittime, circa 3500 persone evacuate e pesanti perdite economiche per le attività agricole, zootecniche e industriali. Il comune di Recoaro Terme ha subito un distacco di una massa di circa 225.000 metri cubi, più di tre chilometri di distanza, mettendo la popolazione di tre villaggi ad alto rischio, danneggiando infrastrutture come dighe, ponti, strade e case.

In un documento del 2013, i ricercatori hanno attribuito “l’allevamento agricolo” come uno dei fattori chiave della frana del Veneto, a causa della cattiva gestione del suolo, infatti, se ne facilitando l’erosione.

Nel 2017, i ricercatori italiani hanno usato una meta-analisi per calcolare quante morti potrebbero essere evitate semplicemente abbassando l’assunzione di carne alle linee guida della dieta mediterranea. Hanno trovato una riduzione tra il 2,3 e il 4,5 per cento per il cancro del colon-retto, e tra il 2,1 e il 4,0 per cento per le malattie cardiovascolari – con cali più elevati tra i maschi. Quattrocentocinquantaquattro donne con cancro endometriale hanno partecipato a un altro studio dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche di Milano, Italia, che ha trovato una forte associazione statistica tra la loro condizione e le abitudini alimentari, in particolare a causa di una dieta ricca di carne rossa e povera di verdure. Confrontarsi con la realtà di vite e comunità irrimediabilmente cambiate fornisce un’immagine più realistica della problematica economica dell’industria della carne

Se l’industria della carne potesse eliminare le sue esternalità – ovvero le spese ambientali, sanitarie e sociali – entro un anno, il PIL totale italiano di 1,7 trilioni di euro crescerebbe di circa il 2,1%. Questo margine rappresenta il costo totale della produzione di carne per la società, un costo con cui gli italiani convivono ancora oggi. 

Sembra che l’Italia – e più in generale l’Europa – speri che le aziende stesse intervengano per riassorbire i costi di cui sono responsabili, preoccupandosi della salute delle persone, della terra e degli animali, ma questo purtroppo non avviene. 

Il vecchio modello italiano fallisce, non solo perché va contro le priorità ecologiche e di sicurezza del paese, ma perché impantana un intero settore ed è economicamente autolesionista.

Come osservato da studiosi come Paul Hawken, i governi deregolamentati hanno poco interesse politico a pesare le esternalità e preferiscono scaricare il costo sull’ambiente, sulla comunità e sulle generazioni future, poiché ciò permette la formazione di ricchezza nel breve periodo. Indipendentemente dal percorso che l’Italia sceglie per coprire questi costi nascosti, l’eliminazione graduale della produzione di carne – passando a un’economia basata sulle proteine vegetali come raccomandato dai ricercatori – aumenterebbe il loro PIL di circa un terzo di quello sperato per il prossimo decennio.

L’industria della carne nel nostro paese è un esempio  di come le esternalità possono avere costi significativi sugli individui e sulle società. Operando in deficit, l’industria porta con sé danni ambientali, meno salute e meno ricchezza. 

Da oggi quindi possiamo affermare che scegliere una dieta 100% vegetale non solo fa bene agli animali, vittime innocenti sfruttate dall’industria, ma anche al pianeta, alle persone e alla nostra economia!


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