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Cosa succede a chi lavora nei macelli? Tra sofferenze animali, abuso di alcool, droghe e disturbo da stress post traumatico


I macelli sono luoghi di estrema sofferenza per miliardi di animali, ma pochi sanno che hanno un impatto devastante anche su chi ci lavora, che spesso va incontro a disturbi psicologici, una ulteriore prova di quanto il sistema di produzione della carne non abbia nulla di naturale

Scritto da: Elisa Camporeale, Psicologa. Si occupa di valutazione e riabilitazione neuropsicologica, psicologia clinica e del rapporto uomo-animale.

I mattatoi sono luoghi di dolore, sangue, morte. Sono luoghi da incubo soprattutto per gli animali sia per i lavoratori, costretti entrambi in condizioni estremamente precarie in termini di igiene e sicurezza. È altissimo il rischio di infortuni per le persone (tendiniti, sindromi del tunnel carpale, dita bianche causate dai movimenti ripetitivi), ma soprattutto si tratta di realtà isolate ai margini della società, perché nessuno vuole veramente vedere o sapere che cosa accade nei macelli, e questo isolamento spiana la strada a criticità psicosociali e rispecchiano l’emarginazione in cui si ritrovano anche i lavoratori.

Infatti non c’è nulla di naturale o sano nei macelli, né per gli animali, né per le persone che ci lavorano; Melanie Joy nel suo libro Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche” scrive che: 

“Come quando si mangia un pezzo di carne non si associa il cibo all’animale, allo stesso modo si rimuove il collegamento tra una persona e il suo lavoro. Dietro questa ideologia si nasconde un accordo implicito intriso di violenza tra produttore e consumatore: non vedere, non sentire e non parlare del male”.

Le caratteristiche del contesto lavorativo del macello (condizioni, domanda e disponibilità di risorse) e il benessere psicologico degli impiegati sono strettamente legati, in quanto influiscono  sia sulle capacità di fronteggiare le difficoltà (abilità di coping), sia su quelle di adattamento psicosociale. Per questi motivi, alcuni lavori espongono maggiormente a traumi, violenza e stress: nel caso dei mattatoi, la monotonia e l’incessante domanda lavorativa determinano il frequente turnover dello staff, ma anche assenteismo e azioni disciplinari. 

È un ambiente particolarmente pericoloso per la salute psicologica dei lavoratori, che corrono il rischio di soffrire di PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress) a causa delle azioni violente, ripetute, osservate e perpetrate ogni giorno nei confronti degli animali, azioni che rientrano nella definizione di abuso, pur essendo considerate socialmente accettabili (altri esempi sono la caccia, la sperimentazione animale, lo sfruttamento a fini alimentari). 

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è inserito nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) nella categoria dei disturbi correlati a trauma e stress, caratterizzato da sintomi continui conseguenti l’esposizione ad un evento traumatico. Il PTSD si manifesta solitamente con: difficoltà nel controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, evitamento di situazioni che potrebbero ricordare l’evento, e infine sintomi fisici (dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario).

Nello specifico, la psicologa americana R.M. MacNair, ha definito così il Perpetration-Induced Traumatic Stress (PITS), o Stress Traumatico Indotto dalla Perpetrazione: una forma di disturbo post-traumatico da stress derivante da circostante in cui l’individuo è coinvolto nel creare la situazione traumatica stessa. I sintomi più comuni comprendono abuso di sostanze (soprattutto alcol), ansia, panico, depressione, ideazione paranoide, senso di disintegrazione dell’identità, dissociazione o amnesia, disturbi del sonno (sogni e incubi ricorrenti). 

Queste caratteristiche, che sono le conseguenze psicologiche dell’atto di uccidere, accomunano i veterani, gli esecutori di condanne, i nazisti e i lavoratori dei mattatoi.

Macello, torture, Torino
Macello, torture, Torino

Uno studio del 2016 di Victor e Barnard, psicologi dell’Università del Sud Africa, aveva l’obiettivo di comprendere le condizioni di salute dei lavoratori dei macelli; i risultati emersi sottolineano che la natura ripetitiva dell’esposizione al trauma come autore del reato porta ad una rottura nell’identità dell’individuo: i lavoratori traumatizzati provocano a loro volta un trauma su altre vittime, innescando il pericoloso ciclo della violenza. Diversi impiegati sono stati intervistati per analizzare i loro vissuti nelle fasi iniziali di inserimento lavorativo e adattamento allo stesso. Prima di esporre i principali risultati, è importante riportare come Virgil Butler, ex operaio di un mattatoio di polli, racconta il suo disagio psicologico: 

“L’enorme quantità di esseri viventi che uccidi e di sangue che vedi, dopo un po’ arriva alla tua psiche, soprattutto se non puoi semplicemente spegnere tutte le emozioni e trasformarti in uno zombie robotico della morte. Ti senti parte di una grande macchina della distruzione”.

I lavoratori inevitabilmente ricordano in modo molto vivido la prima uccisione, descritta come esperienza traumatica, caratterizzata dalla pressione dell’immediata richiesta di uccidere centinaia di animali già nel primo giorno di lavoro. In questa fase iniziale di inserimento lavorativo, gli impiegati dei mattatoi provano una gamma crescente di emozioni negative: tristezza, vergogna, paura, rabbia, oltre a dubbi morali relativi ad una punizione futura per il male inflitto, flashback di immagini crudeli (es. sangue) e sintomi fisici come tremore e brividi. 

Con il passare del tempo essi provano meno tolleranza alla frustrazione, diventando maggiormente irritabili tra le mura domestiche, evidenziando pertanto cambiamenti nella loro personalità, essi infatti rilevano maggior aggressività, mentre paura, ansia, colpa, vergogna e tristezza diminuiscono nel tempo. 

Nel tentativo di adattarsi al contesto per mantenere alta la produttività, i lavoratori utilizzano diverse strategie e difese psicologiche, quali distacco emotivo, sensazione di grandiosità e potere, fino alla scissione identitaria, che comporta la presenza di un Sé lavorativo (obbligo morale) e di un Sé personale (vita privata). La testimonianza di un lavoratore incaricato di uccidere maiali spiega questa scissione: 

“La cosa peggiore è il carico emotivo…guardi un maiale negli occhi mentre cammina nel sangue…ti viene voglia di coccolarlo. Maiali pronti per essere uccisi si avvicinano e cercano il contatto come cuccioli. Due minuti dopo devo ammazzarli, picchiarli fino alla morte con un bastone. Non posso affezionarmi”. 

Queste parole mostrano da una parte un Sé che si identifica con il maiale e riconosce la natura dello stesso, bisognoso di affetto e cure; dall’altra parte un Sé dedito al lavoro, che obbliga a uccidere senza poter provare compassione. 

La risposta emozionale dei lavoratori agli animali influenza la modalità in cui essi li trattano: se si sviluppa un senso di sdegno verso l’animale, sarà più probabile mettere in atto un comportamento crudele; viceversa i lavoratori che empatizzano con gli animali sono più soggetti a trovarsi in difficoltà, dato che il lavoro richiede che l’animale venga trattato come un oggetto, un mezzo, e non come essere vivente con un valore individuale. 

La natura di questa industria, intensiva e focalizzata sulla produzione, ha spinto i lavoratori a sopprimere la loro empatia nei confronti degli animali, soprattutto nel caso del genere maschile, portando ad una normalizzazione della violenza. Il deficit di empatia con le creature più deboli aumenta la probabilità di commettere azioni violente, soprattutto verso donne e bambini. 

Amy Fitzgerald, criminologa canadase, ha condotto uno studio in cui ha evidenziato la maggior quantità di crimini (arresti per violenze sessuali, omicidi, stupri, rapine, furti di auto e moto, incendi) nelle zone in cui sono presenti mattatoi; inoltre, l’industria dei macelli ha un effetto significativo sulla percentuale di crimini commessi nelle comunità, rispetto ad altre industrie, plausibilmente a causa degli effetti psicologici tipici di questo lavoro. 

L’85% circa di coloro che mangiano carne ammette che non riuscirebbe ad uccidere un animale per mangiarlo, pertanto i lavoratori dei mattatoi violano questa naturale tendenza dell’astenersi dall’uccidere animali, con un conseguente impatto psicologico. 

Il lavoro nei mattatoi comporta implicazioni psicosociali di grande rilevanza. Gli impiegati si sentono spesso fisicamente esausti a causa delle condizioni in cui lavorano quotidianamente, pertanto faticano a relazionarsi con la propria famiglia. Molto spesso lo stress lavorativo spiana la strada a violenza e abusi domestici, ovvero modalità di espressione e sfogo della propria rabbia, innescata da sottili dinamiche, verso gli indifesi, senza curarsi delle conseguenze. 

Inoltre, bisogna considerare la disapprovazione e la contestazione morale sul lavoro nel macello, da parte di famigliari e amici, in quanto la mansione comporta l’atto di uccisione; considerati infatti pericolosi, i lavoratori si trovano a dover fronteggiare la reazione degli altri, solitamente caratterizzata da incredulità, shock, sfiducia e paura. 

Questa risposta di disapprovazione sociale provoca in loro vergogna e colpa, essi percepiscono di essere socialmente rifiutati, incompresi e stereotipati; questi sentimenti causano una reazione di ritiro emotivo dalle relazioni o la messa in atto di comportamenti aggressivi e violenti in linea con lo stereotipo, nonché distacco e isolamento sociale per la paura di essere rifiutati dagli altri. 

Nonostante queste criticità, le persone continuano a lavorare in questi luoghi, perché si rendono conto del ruolo che ancora purtroppo rivestono nella fornitura di beni nella società attuale e, soprattutto, hanno la percezione di non avere alternative.

Mucca macello animali

Considerato l’impatto psicologico e la natura crudele di questo lavoro, alcuni ricercatori americani suggeriscono la creazione di linee guida per la conduzione di un esame psicologico dei lavoratori, al fine di determinarne la presenza e la gravità del danno, nonché di incoraggiare la salute mentale nel contesto di lavoro.

Ad oggi, non esistono misure di tutela e prevenzione per il trauma psicologico dei lavoratori, per le conseguenze psicosociali e per le crudeltà inflitte agli animali. 

L’unica arma che abbiamo per cambiare le cose è quella di ridurre il consumo di alimenti animali prodotti dagli stessi mattatoi (carne, uova, latticini), scegliendo un’alimentazione vegetale. L’unico modo che abbiamo è vedere i mattatoi per ciò che sono veramente – luoghi di dolore, sangue e morte per qualunque essere vivente varchi quelle porte.

Leggi le testimonianze di due ex dipendenti di un macello raccolte da Animal Equality. 

Bibliografia 
MacNair, R. M. (2002). Perpetration-induced traumatic stress: The psychological consequences of killing. Praeger Publishers/Greenwood Publishing Group.

 Dillard, J. (2008). A slaughterhouse nightmare: Psychological harm suffered by slaughterhouse employees and the possibility of redress through legal reform. Geo. J. on Poverty L. & Pol'y, 15, 391.

 Victor, K., & Barnard, A. (2016). Slaughtering for a living: A hermeneutic phenomenological perspective on the well-being of slaughterhouse employees. International journal of qualitative studies on health and well-being, 11(1), 30266.

 Fitzgerald, A. J., Kalof, L., & Dietz, T. (2009). Slaughterhouses and increased crime rates: An empirical analysis of the spillover from “The Jungle” into the surrounding community. Organization & Environment, 22(2), 158-184. 

https://metro.co.uk/2017/12/31/how-killing-animals-everyday-leaves-slaughterhouse-workers-traumatised-7175087/  

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