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Negare l’evidenza di fronte alla realtà.


Le risposte alle affermazioni dell’industria durante l’ultima puntata di Piazza Pulita.

Giovedì sera, 14 novembre, la trasmissione Piazza Pulita su La7 ha dedicato un’ampia parte della puntata ad un lungo dibattito sugli allevamenti, sui metodi di produzione di carne ed altri prodotti derivati in Italia e nel mondo, toccando anche l’importante tema dell’impatto di questo sistema sul clima. 

Il dibattito si è aperto con la messa in onda delle immagini riprese dai giornalisti di La7 all’interno e all’esterno di alcuni allevamenti intensivi: i giornalisti sono entrati con Essere Animali in un allevamento di polli broiler e in un allevamento di maiali, mostrando ancora una volta al pubblico le misere condizioni di vita a cui sono costretti gli animali all’interno degli allevamenti intensivi,  ed evidenziando anche l’impatto delle acque reflue di questi allevamenti sui territori circostanti. I giornalisti si sono poi introdotti con la LAV – Lega anti vivisezione – in un allevamento di mucche da latte, mostrando ancora una volta al pubblico l’estrema sofferenza degli animali in questi luoghi e le condizioni igienico-sanitarie raccapriccianti in cui spesso versano.

Guarda le riprese di Essere Animali all’interno dell’allevamento di maiali:

Guarda le riprese della LAV all’interno dell’allevamento di mucche da latte:

Guarda l’intera puntata di Piazza Pulita, su LA7 e il dibattito sugli allevamenti in Italia a questo link.

Bugie in diretta nazionale

Al dibattito che ha seguito la messa in onda di queste immagini hanno partecipato Licia Colò, noto volto della TV italiana; lo chef Gianfranco Vissani; Angelo Bonelli, presidente e coordinatore della federazione dei Verdi; Paola Maugeri, musicista e conduttrice radiofonica e, in rappresentanza dell’industria alimentare, Luigi Scordamaglia: Coordinatore di Filiera Italiana – Associazione che promuove e tutela il settore agroalimentare Italiano – e in passato Presidente di Federalimentare.

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Il tavolo del dibattito durante la puntata di Piazza Pulita

Tra le tante cose dette durante il dibattito ci hanno particolarmente stupito le affermazioni di Luigi Scordamaglia, in TV per rappresentare i produttori, ma anche i consumatori, di tutta Italia ancora una volta ha dimostrato come l’industria fa fatica dire la verità, pur  di fronte ad immagini inequivocabili che smentiscono le loro affermazioni. Il comportamento “negazionista” dell’industria ha dell’incredibile, e rischia  di confondere gli spettatori presentando una verità parziale e relativa.

Per questo abbiamo deciso di riprendere punto per punto le affermazioni di Luigi Scordamaglia, Coordinatore di Filiera Italiana, e spiegare dove sta la verità e dove la menzogna, per fare chiarezza!

La retorica delle “mele marce”

Hanno appena finito di scorrere le immagini riprese da giornalisti e LAV all’interno dell’allevamento infernale di mucche da latte quando inizia al dibattito. 

La prima affermazione di Scordamaglia non poteva essere più scontata:  come sempre la prima arma a cui ricorre l’industria per difendersi è quella basata sulla retorica della “mela marcia”. Secondo i rappresentanti degli allevatori le immagini riportate da noi e dalle altre organizzazioni riportano sempre e solo “casi isolati”, mentre la maggior parte degli allevamenti rispetta le norme ed il benessere degli animali.

Ovviamente si tratta di una bugia bella e buona, ampiamente smontata dalle numerosissime investigazioni svolte da Animal Equality nel corso degli anni all’interno di allevamenti e macelli nel nostro paese, ma anche dai lavori di altre organizzazioni. Solo nel 2018, nel nostro paese, le organizzazioni per i diritti degli animali hanno rilasciato ben 19 differenti inchieste realizzate all’interno di strutture italiane, documentando con foto e video scene raccapriccianti sia dal punto di vista etico che dal punto di vista di sicurezza sanitaria del consumatore.

Secondo Scordamaglia i controlli in Italia sono i migliori al mondo, e l’Italia prevede sanzioni penali più rigide rispetto al resto del mondo.

L’italia prevede sanzioni penali più severe della media, è vero, peccato però che il nostro lavoro, insieme ad altre svariate inchieste giornalistiche, ha ampiamente dimostrato quanto il sistema dei controlli negli allevamenti da parte del Ministero della Salute sia carente, mentre spesso le sanzioni si limitano a semplici multe che non comportano certo cambiamenti radicali e punitivi importanti per gli allevatori che commettono questi abusi. In tutti gli allevamenti che abbiamo investigato in questi anni di attività abbiamo sempre riscontrato sofferenza degli animali, condizioni igieniche scadenti, se non assurde, e un impiego sconsiderato di antibiotici usati per tenere in vita gli animali fino al momento della macellazione.

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I nostri investigatori in un allevamento di maiali

L’italia contadina: eccellenze e famiglie

Secondo l’industria i casi rappresentati nelle immagini delle organizzazioni rappresentano solo “casi limite”, “mele marce” del settore, ed è per questo che Scordamaglia ci tiene a ribadire che in Italia 150.000 famiglie di agricoltori si prodigano nella produzione di “eccellenze”, senza allevare gli animali in pessime condizioni.

Ma anche questa non è la realtà dei fatti.  In Italia vengono allevati 6 milioni di bovini, 7 milioni di ovini, 1 milione di caprini, 8 milioni di suini e 40 milioni di pollame…. nella stragrande maggioranza dei casi sono animali tenuti in allevamenti intensivi. Per provarlo basta ricordare due dati: arrivano da impianti intensivi l’85% dei polli e il 95% dei suini (compresi tutti i derivati). * fonte ISTAT

Se veramente l’industria volesse aiutare le famiglie e le piccole realtà di allevamento dovrebbe considerare che l’aumento di allevamenti intensivi in Italia equivale anche alla chiusura delle piccole fattorie, quelle che mantenevano la propria famiglia con il commercio di bestiame che ormai chiudono, o vengono assorbite dalle  grandi multinazionali.

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Capannone di un allevamento di tipo intensivo

Gas serra, polveri sottili e acque reflue

Il sistema di allevamento definito da Scordamaglia “quello vero, quello di qualità” – anche se, come abbiamo detto sopra, la maggior parte degli allevamenti in Italia sono strutture intensive – per produrre un chilo  di carne emette una quantità di CO2 più bassa della media! E in Italia tutti gli scarti animali dell’industria vengono utilizzati per produrre energia, biogas. 

Gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da “polveri fini” in Italia, responsabili dello smog più dell’industria e più di moto e auto. Secondo lo studio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, infatti, riscaldamento e allevamenti sono responsabili rispettivamente del 38% e del 15,1% del particolato PM2,5 della penisola. In altre parole, lo stoccaggio degli animali nelle stalle e la gestione dei reflui inquina più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%). *Dati Ispra

Ma nonostante l’evidenza dei fatti i nel corso del dibattito Scordamaglia continuerà ad insistere affermando che in Italia la zootecnia incide solo per il 4% sulla produzione di CO2.

Come se il fatto di produrre meno CO2 potesse essere di consolazione, e il fatto di produrre più polveri sottili dell’intera industria dei trasporti sia irrilevante. Allora ci teniamo a ricordare che numerosi studi hanno evidenziato una correlazione tra esposizione acuta a particolato aerodisperso e sintomi respiratori, alterazioni della funzionalità respiratoria, ricoveri in ospedale e mortalità per malattie respiratorie. Inoltre, l’esposizione prolungata nel tempo al particolato, già a partire da basse dosi, è associata all’incremento di mortalità per malattie respiratorie, di patologie quali bronchiti croniche, asma, riduzione della funzionalità respiratoria e di rischio di tumore delle vie respiratorie.

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Rilevazioni delle acque durante una nostra investigazioni in un allevamento del nord Italia

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato di mantenere la concentrazione di tale inquinante al livello il più basso possibile, non esistendo un livello soglia al disotto del quale non sono dimostrabili effetti sulla salute. 

Questo senza contare che in Italia il 9,3% dei gas serra viene comunque prodotto dall’agricoltura. *Dati Ispra. Un’altra problematica ambientale dell’allevamento intensivo riguarda il rischio di inquinamento delle acque superficiali e di falda a causa degli spargimenti dei reflui, soprattutto azoto/nitrati e fosforo. Insomma, nulla di cui compiacersi. 

Diabete, malnutrizione consumo di carne

Gli altri partecipanti al dibattito hanno cercato di sostenere la necessità di ridurre il consumo di carne e derivati, anche drasticamente, per evitare sofferenza gli animali, ma a queste “pericolose” affermazioni Scordamaglia non esita a rispondere dichiarando (senza citare le fonti) che “in alcune regioni, dove c’è una fascia molto molto povera si è visto che la perdita di capacità di acquisto e la rinuncia a comprare in quantità giuste e sufficienti carne, pesce e verdura ha provocato un’esplosione di diabete e una mortalità di 4 anni più anticipata rispetto alle altre. Quindi è giusto garantire che tutti abbiano accesso alla carne che, nelle giuste quantità dà il giusto apporto necessario alla dieta mediterranea”.

Al contrario le fasce povere, purtroppo, spesso si trovano a comprare carne e prodotti derivati di qualità infima, o a mangiare nei fast food, proprio per risparmiare ed è questo a causare loro i principali problemi di salute, che non hanno certo nulla a che vedere con la riduzione del consumo di carne, se non il contrario.

Quando addirittura la conduttrice radiofonica Paola Maugeri interviene suggerendo la possibilità di adottare una dieta completamente a base vegetale per il bene degli animali e del pianeta Scordamaglia torna in campo medico affermando che “la federazione italiana pediatri preventivi ci dice che negli ultimi 2 anni i ricoveri di bambini sottopeso – perché sottoposti ad una alimentazione vegana scorretta – sono aumentati esponenzialmente”. In questo caso, come spesso avviene, si presentano casi di cattiva genitorialità accusando però la dieta anziché i genitori e cercando di far passare il messaggio che una dieta a base vegetale non sia adatta al sostentamento delle persone.

Se però il rappresentante dell’industria avesse voluto davvero parlare di salute ed entrare nel merito della questione avrebbe dovuto citare il problema dell’antibiotico-resistenza: in Italia il 50% del consumo degli antibiotici avviene negli allevamenti intensivi. Un abuso pericoloso per la salute umana, in quanto capace di favorire la resistenza dell’organismo all’effetto dei farmaci. I dati allarmanti sono stati resi pubblici dal Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza, all’interno di uno studio del Policlinico Gemelli, pubblicato sulla rivista “Igiene e Sanità Pubblica”. Nello specifico, il nostro paese è in una situazione preoccupante: nonostante una legge internazionale e una nazionale che autorizzano l’uso degli antibiotici negli allevamenti solo in caso di necessità e con protocolli e controlli molto rigidi, in Italia gli antibiotici vengono somministrati anche agli animali sani a scopo preventivo. 

Purtroppo Scordamaglia in merito ha dichiarato solo che “è illegale somministrare antibiotici 90 giorni prima della macellazione in Italia”. Una vera consolazione.

Allevamenti intensivi Italia
Medicinali trovati durante un’investigazione all’interno di un allevamento intensivo

I consumi di carne in Italia

Un’altra affermazione spesso ripetuta da Luigi Scordamaglia, Coordinatore di Filiera Italiana, durante il dibattito è che in Italia “consumiamo una quantità di carne perfetta secondo le necessità nutrizionali” , che “abbiamo la fortuna di avere una dieta perfettamente equilibrata”.

Secondo l’Osservatorio permanente sul Consumo Carni, il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è pari a 79 chilogrammi pro-capite, oltre i 200 g pro capite al giorno (210 secondo le stime Ismea e 230 secondo i calcoli Fao). Un problema particolare lo presentano la carne rossa e i salumi. Secondo una recente indagine Inran/Scai (oggi Crea)  gli italiani consumano ogni settimana 420 g di carne rossa e 190 di salumi, alimenti che non giovano alla salute!

Affermare che in Italia abbiamo una dieta perfettamente equilibrata si presenta quindi come una grossa bugia, anche considerando che:

  1.  Il fenomeno dell’obesità è in crescita nel nostro Paese e, secondo gli ultimi dati dell’Italian obesity barometer il problema nel nostro Paese riguarda 25 milioni di persone
  2. In Italia ben 127mila donne e 98mila uomini muoiono ogni anno per le malattie cardio-cerebrovascolari, patologie correlate all’eccessivo consumo di carne e altri derivati – rappresentano il 30% di tutti i decessi e colpiscono più dei tumori. 
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L’Italia non è un isola

Angelo Bonelli, presidente e coordinatore della federazione dei Verdi, durante il dibattito diverse volte fa notare che, se anche la produzione di carne e derivati in Italia fosse sostenibile come dichiara Luigi Scordamaglia, il modello intensivo non funziona e va rivisto perché a livello mondiale sta provocando disastri: occupazione del suolo, spreco di risorse idriche e terrestri, deforestazione, perdita di biodiversità e molto altro. A queste affermazioni Scordamaglia non riesce a rispondere altro se non che “un sistema eccellente come quello italiano non può essere paragonato con il Brasile”, e che “l’Italia inquina meno di tutto il resto del mondo per produrre carne”. 

Purtroppo, come ha cercato di spiegare durante il dibattito Bonelli l’Italia non è un isola, è inserita in un contesto globale e globalizzato e pertanto non solo l’impatto dei suoi allevamenti si ripercuote sull’Italia, ma su tutto il mondo. Parlando della crisi dell’Amazzonia brasiliana, ad esempio, l’Italia ha uno stretto legame con la deforestazione tropicale, basta guardare i dati: l’Italia ad oggi importa 1,3 milioni di tonnellate di soia da destinare principalmente ai mangimi nell’industria dell’allevamento. Secondo le stime riportate dalla Camera di Commercio, la metà di questa soia arriva solo ed esclusivamente dal cuore del Brasile. Principalmente dal Mato Grosso, ormai quasi interamente raso al suolo a causa della monocoltura della soia.

E non  solo la soia: con più di 27mila tonnellate di carne bovina importata ogni anno (dati Eurostat 2018) l’Italia è la seconda acquirente  di manzo brasiliano in Europa. Questa carne è destinata a ristorazione, produzioni industriali e – soprattutto – alla produzione della bresaola della Valtellina, un prodotto Igp considerato tra i fiori all’occhiello del Made in Italy.

Allevamenti intensivi Italia
Terreni bruciati nel cuore della foresta pluviale

Gli  animali non servono a “produrre cose”

Le affermazioni più inquietanti di Luigi Scordamaglia, a Piazza Pulita per rappresentare i produttori, sono però alcune brevi frasi che ha detto nel corso del dibattito, che mostrano nella loro banalità il vero problema dell’industria. Scordamaglia dice, ad esempio: “….abbiamo delle eccellenze, abbiamo degli animali che producono parmigiano, grana padano…” 

Ecco qui, il problema rivelato: gli animali servono solo a produrre, a produrre carne, a produrre formaggi, latte o uova. Sono oggetti, sono numeri, sono cose destinate ad essere trasformate per il piacere umano. 

Non solo, Scordamaglia continua: “le mucche trasformano la fibra, il mais, in proteine ad altissimo valore biologico, è l’equilibrio naturale”. Le mucche non hanno altro scopo dunque se non quello di trasformare il mais in fibre ad alto valore nutrizionale per l’uomo. Secondo Scordamaglia è questo lo scopo delle mucche, secondo l’industria è questa la verità, una verità in cui agli animali non viene riservato neanche il diritto di avere altre funzioni oltre a quella di trasformarsi in prodotto per le persone!

Possiamo affermare con certezza che questa industria, che non riconosce nemmeno i bisogni più basilari degli animali, ha perso totalmente il contatto con la realtà. E la prova di questo enorme problema è lo stesso rappresentante dell’industria che, in diretta nazionale, dimostra  di non essere a conoscenza di ciò che rappresenta, quando – dopo che Licia Colò afferma che “non è naturale che le mucche passino tutta la vita in un capannone” – dichiara che “in Italia le mucche stanno dentro e fuori le stalle nelle produzioni di latte”. 

No, tutto questo è falso. In Italia sono allevate due milioni di vacche da latte, la maggior parte delle quali attualmente passa tutta la propria breve vita al chiuso, in un sistema a pascolo zero, facendo una sola cosa: produrre latte. Senza mai uscire, senza mai calpestare l’erba.

Questa è l’ennesima bugia di una industria che non vuole accettare un cambiamento inevitabile, che come hanno spiegato gli altri ospiti, non possiamo e non dobbiamo ignorare, per il bene degli animali, delle persone e del futuro del nostro Pianeta. 

Una strage silenziosa

Questo sistema che intende gli animali come numeri compie ogni anno, in nome  di quelle che l’industria chiama “eccellenze” e di presunte tradizioni, una vera e propria strage: 4.756 è una stima degli animali che, ogni secondo, nel mondo, sono vittime dell’industria alimentare. Un totale di 150.000.000.000 animali all’anno. 

Questo numero è diventato la nostra dichiarazione di intenti e speriamo che diventi anche la tua: abbiamo promesso di non fermarci mai, di continuare a combattere con ogni mezzo disponibile affinché questo numero si azzeri per sempre.


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