

Perché nessuno vuole vivere vicino a un allevamento intensivo
Come reagireste se un allevamento intensivo dovesse essere costruito proprio alle porte di casa vostra? In Italia gli interventi di ampliamento di strutture già esistenti e le nuovi costruzioni sono purtroppo molto numerosi e pericolosi per animali e persone. Come accaduto in molti Comuni, però, i cittadini sono pronti a battersi per opporsi ai danni che provocano questi luoghi di sfruttamento.
Dal pavese al Piemonte, diversi comuni della Pianura Padana il numero di animali allevati supera quello degli abitanti e nei pressi di questi stabilimenti, i parametri ambientali legati all’inquinamento di origine zootecnica sono spesso a livelli di guardia.
Una situazione che danneggia animali e persone: gli allevamenti intensivi provocano infatti non solo enormi sofferenze per gli animali sfruttati al loro interno ma, oltre un certo numero di animali allevati, sono anche considerati “attività insalubri di prima classe”, e per questo sottoposti a procedure di valutazione e monitoraggio.

La mobilitazione contro gli allevamenti in Italia
Spesso però i cittadini si mobilitano per chiedere al proprio Comune di intervenire bloccando i lavori di costruzione, facendo appello soprattutto agli impatti ambientali e sanitari negativi che provocano sul territorio, nonché ai disagi legati ai cattivi odori che provengono da questi luoghi.
L’ultimo caso riguarda i cittadini di Travacò Siccomario, in provincia di Pavia, dove i cittadini si sono uniti per opporsi alla costruzione di un allevamento intensivo di 39 mila galline ovaiole.
Ad agosto, sono state presentate oltre 1300 firme raccolte dal comitato cittadino contrario all’allevamento, a cui si è aggiunta la presa di posizione ufficiale di contrarietà da parte di residenti amministrazione comunale.

Ad Arborio, comune di Vercelli, è successo qualcosa di molto simile. La petizione lanciata dal Comitato RISO, Rete Indipendente Solidarietà e Opposizione, che si è organizzata insieme ad altre associazioni locali per contrastare l’apertura di un allevamento destinato a ospitare quasi 275 mila galline ovaiole per ogni ciclo produttivo ha raccolto rapidamente 40 mila firme di cittadini che chiedono di fermare la sua costruzione.
Anche a Montefiascone, comune laziale in provincia di Viterbo, i cittadini si sono dovuti confrontare con il progetto dell’azienda cerealicola e agrituristica Castello di Monteleano, che ha deciso di realizzare un allevamento intensivo di 40 mila galline allevate per la produzione di uova a poche centinaia di metri dalle abitazioni.

Il caso di Montefiascone
Per arginare la costruzione del maxi allevamento,150 cittadini hanno deciso di aderire al Comitato per la tutela del paesaggio, dell’ambiente, del turismo e delle tradizioni rurali di Montefiascone (Copattrim) e, insieme a LIPU e Italia Nostra, hanno fatto ricorso contro il Comune, che nel 2020 aveva autorizzato il permesso ad avviare i lavori. A luglio 2021 il Tar ha però rigettato il ricorso e dato il via libera alla costruzione del nuovo allevamento.
Dopo la sospensione dei lavori nel febbraio 2022 da parte del Consiglio di Stato, a fronte delle firme raccolte dalla petizione lanciata dal Copattrim (che oggi ne conta 968), lo stesso Consiglio di Stato ha tuttavia respinto l’appello del Comitato e di alcune associazioni nazionali come LAV, LIPU e Italia Nostra determinando di conseguenza la ripresa della costruzione del nuovo allevamento.
Grazie all’unione e alla determinazione dei cittadini, il caso però non è finito nel dimenticatoio. A distanza di cinque anni dall’inizio delle proteste i cittadini continuano a resistere e a protestare contro l’allevamento.

Quando i cittadini fermano gli allevamenti
Quello di Montefiascone non è l’unico caso in Italia in cui i cittadini scelgono di opporsi alla costruzione di grandi opere destinate all’allevamento intensivo. In alcuni casi felici, quello che sembra essere uno scontro impari tra Davide e Golia alla fine vede il raggiungimento di risultati positivi da parte dei comitati cittadini, a beneficio di animali, ambiente e persone.

Alcuni esempi di comitati che sono riusciti a contrastare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi arrivano soprattutto da territori dove la concentrazione degli allevamenti intensivi è ai massimi livelli in Italia: la Pianura Padana.
È il caso ad esempio del Piemonte, dove il gruppo di residenti denominato Isola2021, tramite ricorso al Tar, ha ottenuto la sospensione della costruzione di un maxi-allevamento intensivo nel comune cuneese Bene Vagienna, che avrebbe dovuto ospitare 106 mila polli.

A Schivenoglia, in provincia di Mantova, un piccolo comitato cittadino ha vinto un referendum cittadino contro l’apertura di un nuovo maxi-allevamento di oltre 10 mila suini e da circa due anni sta bloccando l’ampliamento e l’avvio di un altro allevamento che deve contenere più 4 mila suini.
Nel Padovano, di fronte alla possibilità che un allevamento di 20 mila metri cubi sorgesse per l’allevamento di oltre 80 mila polli, anche gli abitanti del piccolo paese di Baone si sono mobilitati per impedire i lavori.
In Emilia-Romagna, il Comitato No Polli ha chiesto di fermare la costruzione di quattro allevamenti di polli a Polesine Camerini in provincia di Ferrara. Il progetto prevedeva di costruire a 700 metri dal paese otto capannoni in cui allevare in totale 2,5 milioni di polli per ciclo produttivo ogni anno.

A Monte Roberto, comune di Ancona, il cittadino Andrea Tesei ha ottenuto dal Consiglio di Stato lo stop ai lavori per l’allargamento degli 8 capannoni che avrebbero dovuto ospitare 2,5 milioni di polli allevati ogni anno a 250 metri dalla sua proprietà, che comprende la dimora storica dell’800 dove vive insieme alla sua famiglia.
Ma dal Piemonte alle Marche la densità degli allevamenti già presenti e in costruzione sembra essere fuori controllo: in Veneto, solo sui Colli Euganei, le galline allevate sono 1,3 milioni per 3 mila abitanti.
In provincia di Rovigo, altri 5 milioni di polli sono allevati a poche centinaia di metri da un centro anziani nel comune di Lendinara.

La sofferenza di maiali, polli e bovini
Secondo i dati in Italia vengono macellati ogni anno più di 500 milioni di polli, di cui il 95% proviene da allevamenti intensivi, dove sono confinati per soddisfare una domanda di carne di pollo crescente e a prezzi sempre più bassi.
In questi luoghi, ciò con cui gli animali si confrontano ogni giorno sono tuttavia sovraffollamento, condizioni igieniche pessime, temperature elevate, crescita accelerata e gravi problemi di salute connessi alla selezione genetica crudele a cui i polli a rapido accrescimento vengono sottoposti, senza contare i maltrattamenti e gli abusi che subiscono dagli operatori.
Ma gli allevamenti intensivi che occupano la Pianura Padana non sono solo quelli di polli, si conta infatti la metà della produzione nazionale di suini e un quarto della produzione di bovini.

Il legame tra inquinamento e allevamenti
L’elevata concentrazione e le pessime condizioni degli animali allevati permettono di spiegare perché nessuno vuole vivere vicino agli allevamenti intensivi.
Oltre ad essere rumorosi e maleodoranti, gli allevamenti intensivi rilasciano ammoniaca, metano, PM10 e PM2,5 (una miscela di particelle inquinanti estremamente pericolose soprattutto per l’apparato respiratorio) e liquami nei terreni attigui, con un grave impatto sulla qualità della vita delle comunità che vivono nei pressi di questi stabilimenti.
Nella provincia di Padova, Mantova e Reggio Emilia, dove è stato realizzato il documentario di Greenpeace, gli allevamenti di suini che popolano la zona causano l’avvelenamento delle falde acquifere, mettendo a rischio la salute degli animali, dell’ambiente e della popolazione locale.

Mentre la battaglia contro gli allevamenti prosegue, ognuno di noi ogni giorno può fare la propria parte per combattere questo sistema ingiusto e crudele facendo scelte consapevoli anche a tavola.
Scegliere un’alimentazione vegetale, infatti, significa contribuire a ridurre la sofferenza di tanti individui sfruttati e lanciare un messaggio chiaro all’industria: un’alternativa agli allevamenti intensivi esiste e noi siamo pronti a sostenerla.

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