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PERCHÉ NESSUNO VUOLE VIVERE ACCANTO A UN ALLEVAMENTO INTENSIVO


Come reagireste se un allevamento intensivo dovesse essere costruito proprio alle porte di casa vostra? In Italia gli interventi di ampliamento di strutture già esistenti e la costruzione di nuovi stabilimenti sono purtroppo molto numerosi e pericolosi per animali e persone. Come accaduto in molti Comuni, però, i cittadini sono pronti a battersi per opporsi ai danni che provocano questi luoghi di sfruttamento.

In diversi comuni della Pianura Padana il numero di animali allevati supera quello degli abitanti e nei pressi di questi stabilimenti, i parametri ambientali legati all’inquinamento di origine zootecnica sono spesso a livelli di guardia. Una situazione che danneggia animali e persone: gli allevamenti intensivi provocano infatti non solo enormi sofferenze per gli animali sfruttati al loro interno ma, oltre un certo numero di animali allevati, sono anche considerati “attività insalubri di prima classe”, e per questo sottoposti a procedure di valutazione e monitoraggio.

I CITTADINI SI OPPONGONO

Spesso però i cittadini si mobilitano per chiedere al proprio Comune di intervenire bloccando i lavori di costruzione, facendo appello soprattutto agli impatti ambientali e sanitari negativi che provocano sul territorio, nonché ai disagi legati ai cattivi odori che provengono da questi luoghi.

L’ultimo caso riguarda i cittadini di Montefiascone, comune laziale in provincia di Viterbo, che si sono dovuti confrontare con il progetto dell’azienda cerealicola e agrituristica Castello di Monteleano, che ha deciso di realizzare un nuovo allevamento intensivo di 40 mila galline allevate per la produzione di uova a poche centinaia di metri dalle abitazioni.

Per arginare questa operazione 150 cittadini hanno deciso di aderire al Comitato per la tutela del paesaggio, dell’ambiente, del turismo e delle tradizioni rurali di Montefiascone (Copattrim) e, insieme a LIPU e Italia Nostra, hanno fatto ricorso contro il Comune, che nel 2020 aveva autorizzato il permesso ad avviare i lavori.

A luglio 2021 il Tar ha però rigettato il ricorso e dato il via libera alla costruzione del nuovo allevamento.

Dopo la sospensione dei lavori nel febbraio 2022 da parte del Consiglio di Stato, a fronte delle firme raccolte dalla petizione lanciata dal Copattrim (che oggi ne conta 968), lo stesso Consiglio di Stato ha tuttavia respinto l’appello del Comitato e di alcune associazioni nazionali come LAV, LIPU e Italia Nostra determinando di conseguenza la ripresa della costruzione del nuovo allevamento. 

 LA RISPOSTA NEGATIVA DEL TAR

Abbiamo chiesto al Copattrim per quale motivo Tar e Consiglio di Stato hanno scelto di far procedere i lavori. Ecco la loro risposta:

Così come riportato nelle due sentenze, di fatto i due organi di giudizio non sono entrati nel merito di nessuna delle molte questioni poste dal Copattrim a contestazione della regolarità dell’operato del Comune

In entrambi i casi infatti la sentenza ha dichiarato esclusivamente l’inammissibilità dei ricorsi perché, a loro avviso, incentrati su una impugnazione del PUA (Piano di Utilizzazione Aziendale, la relazione progettuale presentata unilateralmente dall’azienda interessata), avvenuta però oltre i limiti di tempo fissati per legge. Ora, non si può non far notare il fatto – certo irrilevante ai fini dei due giudizi ma altresì certamente indicativo dell’operato complessivo dell’amministrazione comunale – che il ritardo nell’impugnazione del PUA e il conseguente superamento dei limiti di tempo è stato dovuto al ritardo ingiustificato con il quale il Comune ha dato infine seguito alle numerose richieste di accesso agli atti riguardanti il progetto in questione, senza i quali era naturalmente impossibile contestare alcunché”.

Inoltre:

“Consapevoli della situazione, il Copattrim e i suoi avvocati hanno incentrato i ricorsi non tanto sull’impugnazione del PUA in quanto tale – che pure presenta notevoli  incongruenze, inesattezze e vere e proprie falsità, cosa che solleva il forte sospetto che non sia stato valutato a dovere – bensì sulle irregolarità riscontrate nell’iter autorizzativo inerente l’attività specifica (allevamento di galline ovaiole, in determinati quantitativi e insistenti su terreni di determinate dimensioni).

Autorizzazioni sanitarie, regolamenti comunali relativi all’impatto acustico, limiti nel rapporto tra numero dei capi ed ettari di terreno, gestione dei reflui… nulla di tutto ciò, pure previsto da normative nazionali e locali, è stato preso in considerazione nel percorso autorizzativo.

I ricorsi vertevano su questi e su altri profili di irregolarità, oltre a sottolineare i rischi ambientali e per la salute pubblica di un allevamento di tale portata in prossimità delle abitazioni e in una zona a forte concentrazione di avifauna come il Lago di Bolsena e con forte ventilazione, e a ribadire il valore paesaggistico e la vocazione turistica dell’area interessata”.

LO STATO DEI LAVORI: L’ALLEVAMENTO IN COSTRUZIONE

Ad oggi, secondo quanto riportato dal Copattrim, il cantiere del nuovo allevamento è ancora attivo e ha portato a termine l’80% della realizzazione prevista, vale a dire lo sbancamento della collina e la parziale costruzione dei due capannoni, di cui però non si conosce nel dettaglio lo stato delle strutture interne.

“Subito dopo la sospensiva del Consiglio di Stato, che raccomandava di non apportare ulteriori modifiche al cantiere in attesa della sentenza, oltre ad ulteriori lavori all’interno dello stesso, nel novembre 2021 il Comune ha effettuato lavori stradali per portare una linea di corrente fino ad una colonnina elettrica posta a ridosso dell’area di cantiere.

Alla ripresa delle attività, dopo l’autorizzazione a procedere del Consiglio di Stato, sono stati effettuati ulteriori lavori di movimentazione della terra, di cui al momento non appare chiaro lo scopo”, aggiunge il Comitato.

Secondo la testimonianza del Copattrim, nei residenti di Montefiascone le preoccupazioni per l’avanzamento dei lavori rimangono forti ed è subentrato un senso di sconforto legato all’esito negativo dei ricorsi.

Dal punto di vista dell’impatto ambientale (uno dei motivi principali per il quale il Copattrim si è costituito e si batte), la modifica del paesaggio dovuto allo sbancamento della collina e l’inquinamento luminoso stanno provocando danni all’agroecosistema, come per esempio la scomparsa di buona parte della fauna locale.

Inoltre gli allevamenti intensivi sono luoghi dove la diffusione di malattie tra gli animali, già sfruttati in modo estremo e vittime di grave sovraffollamento, raggiunge un livello di allerta molto elevato.

Proprio la zona del Viterbese, dove l’allevamento dovrebbe avere sede, è classificata dal Ministero della Salute come quella a più alto rischio di influenza aviaria in Lazio. Questo anche a causa dell’alta concentrazione di allevamenti avicoli intensivi già esistenti e dei molteplici stabilimenti in costruzione.

QUANDO I CITTADINI FERMANO GLI ALLEVAMENTI

Quello di Montefiascone non è l’unico caso in Italia in cui i cittadini scelgono di opporsi alla costruzione di grandi opere destinate all’allevamento intensivo. In alcuni casi felici, quello che sembra essere uno scontro impari tra Davide e Golia alla fine vede il raggiungimento di risultati positivi da parte dei comitati cittadini, a beneficio di animali, ambiente e persone. 

Alcuni esempi di comitati che sono riusciti a contrastare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi arrivano soprattutto da territori dove la concentrazione degli allevamenti intensivi è ai massimi livelli in Italia: la Pianura Padana.

È il caso ad esempio del Piemonte, dove il gruppo di residenti denominato Isola2021, tramite ricorso al Tar, ha ottenuto la sospensione della costruzione di un maxi-allevamento intensivo nel comune cuneese Bene Vagienna, che avrebbe dovuto ospitare 106 mila polli.

A Schivenoglia, in provincia di Mantova, un piccolo comitato cittadino ha vinto un referendum cittadino contro l’apertura di un nuovo maxi-allevamento di oltre 10.000 suini e da circa due anni sta bloccando l’ampliamento e l’avvio di un altro allevamento di oltre 4.000 suini.

Nel Padovano, di fronte alla possibilità che un allevamento di 20 mila metri cubi sorgesse per l’allevamento di oltre 80 mila polli, anche gli abitanti del piccolo paese di Baone si sono mobilitati per impedire i lavori.

In Emilia-Romagna, il Comitato No Polli ha chiesto di fermare la costruzione di quattro allevamenti di polli a Polesine Camerini in provincia di Ferrara. Il progetto prevedeva di costruire a 700 metri dal paese otto capannoni in cui allevare in totale 2,5 milioni di polli per ciclo produttivo ogni anno.

A Monte Roberto, comune di Ancona, il cittadino Andrea Tesei ha ottenuto dal Consiglio di Stato lo stop ai lavori per l’allargamento degli 8 capannoni che avrebbero dovuto ospitare 2,5 milioni di polli allevati ogni anno a 250 metri dalla sua proprietà, che comprende la dimora storica dell’800 dove vive insieme alla sua famiglia. 

Ma dal Piemonte alle Marche la densità degli allevamenti già presenti e in costruzione sembra essere fuori controllo: in Veneto, solo sui Colli Euganei, le galline allevate sono 1,3 milioni per 3 mila abitanti.

In provincia di Rovigo, altri 5 milioni di polli sono allevati a poche centinaia di metri da un centro anziani nel comune di Lendinara. 

LA SOFFERENZA DI POLLI, MAIALI, BOVINI…

Secondo i dati in Italia vengono macellati ogni anno più di 500 milioni di polli, di cui il 95% proviene da allevamenti intensivi, dove sono confinati per soddisfare una domanda di carne di pollo crescente e a prezzi sempre più bassi.

In questi luoghi, ciò con cui gli animali si confrontano ogni giorno sono tuttavia sovraffollamento, condizioni igieniche pessime, temperature elevate, crescita accelerata e gravi problemi di salute connessi alla selezione genetica crudele a cui i polli a rapido accrescimento vengono sottoposti, senza contare i maltrattamenti e gli abusi che subiscono dagli operatori.

Ma gli allevamenti intensivi che occupano la Pianura Padana non sono solo quelli di polli, si conta infatti la metà della produzione nazionale di suini e un quarto della produzione di bovini.

IL LEGAME TRA INQUINAMENTO E ALLEVAMENTI

L’elevata concentrazione e le pessime condizioni degli animali allevati permettono di spiegare perché nessuno vuole vivere vicino agli allevamenti intensivi.

Secondo un documentario di Greenpeace, oltre ad essere rumorosi e maleodoranti, gli allevamenti intensivi rilasciano ammoniaca, metano, PM10 e PM2,5 (una miscela di particelle inquinanti estremamente pericolose soprattutto per l’apparato respiratorio) e liquami nei terreni attigui, con un grave impatto sulla qualità della vita delle comunità che vivono nei pressi di questi stabilimenti.

Nella provincia di Padova, Mantova e Reggio Emilia, dove è stato realizzato il documentario di Greenpeace, gli allevamenti di suini che popolano la zona causano l’avvelenamento delle falde acquifere, mettendo a rischio la salute degli animali, dell’ambiente e della popolazione locale.

Il team investigativo di Animal Equality ha documentato come la Pianura Padana, ovvero la zona con la più alta densità di allevamento in Italia, sia diventata tra quelle più inquinate d’Europa tra sversamenti di liquami ed emissioni di gas serra. 

Oltre a provocare la sofferenza di centinaia di milioni di animali coinvolti nella filiera alimentare, le tecniche moderne di allevamento hanno infatti un impatto devastante sul nostro pianeta.

Animal Equality sostiene la necessità di fermare la costruzione e l’ampliamento degli allevamenti intensivi, luoghi di sofferenza che danneggiano non solo gli animali sfruttati, ma anche l’intero ecosistema che li circonda.

Per questo chiediamo al Governo che si costituirà di intervenire con una moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’ampliamento di quelli esistenti, nonché la realizzazione, come nei Paesi Bassi, di un programma di riduzione degli animali allevati. 

Inoltre, con l’obiettivo di proteggere gli animali vittime dell’industria alimentare, invitiamo i lettori a segnalarci casi di nuove costruzioni o di ampliamento di strutture di allevamento intensivo già esistenti in modo da poter fornire il nostro supporto per un mondo più giusto per tutti.


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