Raddoppia il tuo impatto! Ogni donazione vale x2
pesci a rischio

Il pesce è finito: sfruttamento dei mari, allevamenti intensivi, ecco quello che stiamo facendo a questi delicati animali e all’ecosistema


La prima puntata della nostra intervista a Gabriele Bertacchini, naturalista specializzato in comunicazione e divulgazione ambientale

Ci siamo abituati a dare molte cose per scontate. Ed è proprio quello che si legge nel libro di Gabriele Bertacchini – naturalista specializzato in comunicazione e divulgazione ambientale e autore di podcast sul tema animale e ambientale – Il Pesce È Finito, lo sfruttamento dei mari per il consumo alimentare, dedicato ai pesci, all’ambiente marino, ma soprattutto a quelle riflessioni che devono scaturire in noi per farci comprendere che tutto questo non è scontato e che il rispetto per la Terra e gli animali è una condizione fondamentale non solo per la loro ma anche per la nostra esistenza. 

I ritmi forsennati della produzione industriale di pesce, che sia con la pesca o con gli allevamenti, stanno distruggendo non solo le vite di tutti quegli individui che abitano gli ambienti marini, ma anche l’ecosistema, che potrebbe non essere più in grado di rigenerarsi se non decidiamo di cambiare rotta. La verità è che oggi come oggi mangiamo troppo pesce, troppo spesso e senza pensarci, ma tutto questo non è più sostenibile, oltre a non essere compassionevole nei confronti degli abitanti del mare.

Abbiamo deciso di parlare con Gabriele Bertacchini per conoscere quello che ha potuto analizzare nelle sue ricerche e soprattutto per riflettere insieme su quello che possiamo fare per mettere fine a questa costante depredazione della natura e violenza perpetrata sugli ultimi degli ultimi: quei pesci, individui con caratteri diversi ed esigenze etologiche ben precise, che non parlando con la nostra stessa voce spesso non ricevono l’ascolto che meritano. 

salmon-farm-uk-fish-pain

Quando parliamo dei pesci, c’è una domanda che spesso ci poniamo: ma quanto le persone conoscono realmente i pesci e che idea hanno di questi animali? Sono davvero percepiti per quello che sono, e cioè animali come tutti gli altri che meritano eguale rispetto e comprensione? 

Secondo me non sono più di tanto conosciuti. C’è un pubblico che va sott’acqua, magari anche accompagnato da esperti, che conosce effettivamente i pesci, ma purtroppo il mare viene principalmente frequentato da persone che lo considerano un prolungamento della città. Queste persone si rapportano con questo ambiente naturale e con i suoi abitanti senza conoscere quasi nulla! Non conoscono magari neanche il nome delle specie che possono incontrare.

C’è una conoscenza molto limitata da parte del pubblico che frequenta il mare, non si conoscono gli aspetti legati alla socialità dei pesci, che per altro secondo me non vengono più di tanto divulgati.

Il pesce è un animale che ha un modo di comunicare diverso dal nostro, vive in un ambiente diverso dal nostro, e quindi tutto ciò che è sua comunicazione, tutto ciò che è suo modo di vivere, viene anche percepito meno da parte delle persone

Gabriele Bertacchini

Tutto ciò che è sotto l’acqua chiaramente ha questo filtro liquido nel quale se noi ci immergiamo entro un certo limite conosciamo qualcosa, ma altrimenti se lo guardiamo superficialmente tutto quello che c’è sotto non viene conosciuto. Io sono convinto che le problematiche ambientali si possano risolvere prima di tutto quando nasce un qualche cosa dentro di noi, troppo spesso ci sono questi filtri che ci impediscono di comprendere appieno un problema, soprattutto quando lo percepiamo come troppo distante. 

Se noi vediamo diventare nero il fiume sotto casa in qualche modo ci preoccupiamo perché stabiliamo Per quanto riguarda i pesci è più o meno la stessa cosa: è più difficile stabilire in qualche modo un legame con loro… anche perché chi vive il mare  principalmente lo vive da turista, lo vive sulla spiaggia, in un momento tra l’altro in cui la spiaggia già è modificata dalle attività umane con bar e stabilimenti. Chi si ferma lì, ferma anche la sua conoscenza. 

Nel tuo libro parli del tema della pesca intensiva, quale è l’impatto sia sui pesci, quindi sugli animali che abitano nel mare, sia sull’ecosistema in generale?

Io ho iniziato a vivere il mare, in modo particolare della Sardegna, negli anni ‘80 con mio nonno, che aveva una piccola barca e andavo a pesca con lui, un sistema da cui poi mi sono allontanato perché ho idee molto diverse ora.

La mia esperienza diretta racconta proprio di come negli anni ‘80 e ‘90 il mare stesse diventando più povero: mio nonno, che pescava sempre negli stessi posti e con gli stessi attrezzi, “tirava su” sempre meno perché i pesci continuavano a diminuire. Io stesso ricordo negli anni 80’ delle distese di ricci con tutti quanti gli scogli pieni: oggi il riccio si vede ancora ma è diminuito e non di poco, tanto è vero che la Regione Sardegna ne ha proibito la pesca fino al 2025 per fortuna.

Oltre a questa esperienza diretta ci sono gli studi, che ci dicono che come il Mar Mediterraneo in primo luogo, ma anche tutti gli altri mari a livello globale, si stanno impoverendo e non di poco. I dati sono realmente impressionanti e ci fanno capire quello che effettivamente sta succedendo: a seconda delle specie si parla di diminuzione dal 20 fino al 90%. La pressione di pesca nei confronti dei tonni, ad esempio, negli ultimi 60 anni è aumentata del 1000%, con lo stappo grosso che è avvenuto tra gli anni 60’ e 70’: è lì che la risorsa pesce, da “risorsa” in qualche modo locale è diventata una “risorsa” globale. Non è un caso che nel libro riporto il caso di un abitante di Milano, che consuma più pesce rispetto a un abitante della Grecia. 

Guarda la nostra inchiesta esclusiva sulla pesca nei mari italiani:

I dati sono realmente impressionanti e ci fanno capire quello che effettivamente sta succedendo: a seconda delle specie si parla di diminuzione del 20 30, 60, 70, 80, 90%. La pressione di pesca nei confronti dei tonni, ad esempio, negli ultimi 60 anni è aumentata del 1000%, con lo stappo grosso che è avvenuto tra gli anni 60’ e 70’: è lì che la risorsa pesce, da risorsa in qualche modo locale è diventata una risorsa globale. Se nella prima parte del 900 la risorsa pesce era comunque qualcosa che poteva essere consumata in loco, dopo è diventata un qualche cosa di consumabile anche a distanza. Non è un caso che nel libro riporto il caso di un abitante di Milano che consuma più pesce rispetto a un abitante della Grecia. 

Questo è un paradosso impressionante dovuto proprio alla distorsione del nostro sistema alimentare. Come è accaduto?

Tutto questo ha fatto sì che si creasse un mercato importante attorno il pesce:

Il pesce è diventato di moda e quindi molto spesso si consuma non per reale necessità quanto per status.

Gabriele Bertacchini

Il consumo di pesce ha avuto un incremento gigantesco: siamo passati dai nove chili pro capite del 1961 a livello mondiale agli oltre 20 chili attuali, cioè il consumo di pesce livello mondiale dal 1961 ad oggi ha avuto un incremento che è stato doppio rispetto alla crescita demografica. In tutto questo sistema si è inserito anche chiaramente l’allevamento che ha delle proiezioni future purtroppo ancora in crescita.

Ovviamente si tratta di consumi che non sono davvero necessari: negli anni ‘90 vivevamo bene lo stesso e consumavamo molto meno pesce. In Italia, se prendiamo i dati di oggi, consumiamo circa 28-29 kg pro capite di prodotti ittici, mentre nel 2003 ne consumavamo 21kg e vivevamo bene lo stesso. Il pesce è diventato “una risorsa globale”, è aumentato il consumo e si è sovrasfruttato finendo per creare continuamente dei sistemi per aumentare sempre i consumi e tenere questi ritmi folli che però non fanno altro che danneggiare e svuotare i mari, uccidendo sempre più pesci. I mari sono in grado di autorigenerarsi ma stiamo depredando sempre di più e sempre più in fretta, senza poter compensare questo vero e proprio saccheggio nei confronti della natura.

Si parla infatti di Fish Dependence Day, di cosa si tratta e cosa stiamo facendo a questi delicati animali? Li stiamo facendo sparire?

Come dicevo i pesci e l’ambiente marino sono in grado di rigenerarsi ma a furia di depredare così in fretta di fatto stiamo portando i mari all’esaurimento. Il Fish Dependence Day fa capire più o meno quando cade il momento in cui noi abbiamo finito il potenziale di una determinata area geografica.

Per quanto riguarda l’Italia questo giorno avviene indicativamente intorno alla fine di marzo, quindi vuol dire che potenzialmente abbiamo già finito quella che è la capacità del mare. È come se noi avessimo cinque campi di patate e questi cinque campi di patate ci devono servire per cinque anni; se io li finisco tutti quanti il primo anno che cosa succede? Che andiamo in qualche modo in debito, e poi quando arriverà il futuro noi non li avremo più.

Quindi ufficialmente il pesce continua ad esserci nel nostro mare, però potenzialmente noi l’abbiamo già finito con la fine di marzo. In acque europee questo giorno oggi arriva più o meno verso l’inizio di luglio. Se noi facciamo un passo indietro e andiamo di nuovo agli anni ‘70 questo giorno arrivava verso la fine di settembre, inizio di ottobre, quindi è chiaro che siamo dentro ad una grande accelerazione che fa esaurire le risorse in modo sempre più rapido e non stiamo mollando la presa su questo aspetto.

Ce ne rendiamo conto, i dati ci sono, la comunità scientifica lo sa e lancia allarmi, ma nonostante questo ci sono delle lobby della pesca gigantesche e nonostante i dati scientifici e gli allarmi si continua su questa strada. Oggi il consumo di pesce segue le logiche economiche della crescita continua che chiaramente contrastano con il concetto di risorsa finita.

Nella prossima puntata, che verrà pubblicata domani continueremo il nostro percorso con Gabriele Bertacchini parlando del ruolo delle istituzioni e dei grossi problemi causati dagli allevamenti intensivi di pesci. Continua a seguirci domani per leggere la seconda parte dell’intervista!


Le più lette