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L’Amazzonia brucia ancora


Come stiamo bruciando il polmone verde del mondo un boccone alla volta

Anche se con meno eco mediatica rispetto allo scorso anno la foresta pluviale in Amazzonia continua a bruciare e la situazione è anche peggiore dell’anno scorso. La BBC riporta che, nel mese di giugno 2020, gli incendi sono aumentati del 20% circa rispetto al giugno scorso, l’incremento più alto degli ultimi 13 anni e niente lascia presagire che le cose possano migliorare.

Nonostante la pandemia di Covid-19, la deforestazione è aumentata nei primi mesi dell’anno e continua ad aumentare vertiginosamente. Questo è solo l’inizio di una lunga stagione di incendi che minaccia il polmone verde del mondo, ma perché?

Il destino della foresta pluviale è legato a doppio filo al nostro stile di vita alimentare. Vediamo perché e cosa possiamo fare per non perdere questo patrimonio naturale fondamentale per la vita, nostra e del Pianeta.

Carne, soia e deforestazione

La soia è un fagiolo commestibile dall’alto contenuto proteico ed energetico e il Brasile ne è il primo produttore al mondo. Ma la continua crescita della domanda rende praticamente impossibile soddisfarne la richiesta, sia quella interna dal Brasile sia quella che arriva da Cina ed Europa, tra i suoi maggiori acquirenti.

La diretta conseguenza di questo aumento di richiesta è il taglio di milioni di ettari di foreste per fare spazio a terreni per la sua coltivazione. Si calcola che, attualmente, la superficie utilizzata per la sola coltivazione della soia in Brasile sia pari alla superficie di Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi insieme. Significa che oltre un milione di km quadrati di coltura vengono utilizzati solo per soddisfare la domanda di soia. E la tendenza non sembra volersi arrestare, anzi è in costante e deciso aumento. Ma cosa ce ne facciamo di tutta questa soia?

Degli oltre 200 milioni di tonnellate di soia prodotti in Brasile, solamente il 6% è destinato al consumo umano, il 3% al combustibile biodiesel, il restante 91% è destinato a mangimi e farine destinate al consumo animale.

Non è solo la produzione di soia la colpevole della deforestazione: il Brasile, infatti, è anche il primo esportatore di carne bovina al mondo e anche in questo caso la domanda continua a crescere. Per allevare bovini destinati all’industria della carne è necessario fare spazio, ed ecco perché gli allevatori bruciano parti di foresta da destinare a terreni da pascolo per gli animali. 

Le immagini dei numerosi incendi nella foresta pluviale hanno fatto scandalo in tutto il mondo, perché queste immagini di devastazione mostrano chiaramente a che cosa può portare la deforestazione, un fenomeno in atto da almeno 30 anni in Brasile, ma che negli ultimi tempi – complici anche le politiche del governo Bolsonaro – ha subito un’accelerazione. Ma a cosa stiamo andando incontro? 

Distruggendo gli alberi a questa velocità, si riduce la capacità del polmone del mondo di assorbire e immagazzinare anidride carbonica. Bruciando, gli alberi rilasciano grandi quantità di Co2 nell’atmosfera, stimate dalla Fao intorno alle 200 milioni di tonnellate ogni anno, con ripercussioni gravissime sul clima e sulla salute del Pianeta.

Italia ed Europa, colpevoli come il resto del mondo 

“Siamo la patria del made in Italy, alleviamo responsabilmente e in modo sostenibile e non siamo complici della deforestazione”, sbagliato! 

La deforestazione della foresta pluviale è uno dei principali responsabili della crisi climatica che sta vivendo il nostro pianeta, a causa dell’aumento delle temperature e della drammatica perdita di biodiversità. Ma viene percepita come un fenomeno remoto, che non dipende da noi

In realtà, l’Europa e l’Italia delle “eccellenze” hanno uno stretto legame con la deforestazione tropicale, basta guardare i dati: l’Italia ad oggi importa 1,3 milioni di tonnellate di soia da destinare principalmente ai mangimi nell’industria dell’allevamento. Secondo le stime riportate dalla Camera di Commercio, la metà di questa soia arriva solo ed esclusivamente dal cuore del Brasile. Principalmente dal Mato Grosso, ormai quasi interamente raso al suolo a causa della monocoltura della soia.

Non solo l’Italia, ma tutta l’Europa ha le sue responsabilità nella deforestazione: analogo consumo di soia a quello italiano, infatti, avviene in paesi come Germania, Francia, Ungheria, dove ci sono grandi allevamenti intensivi che consumano la soia prodotta.

È quindi lo stile di vita alimentare di Italia ed Europa una delle principali cause della drammatica deforestazione che sta avvenendo in Brasile. 

Come possiamo fermare tutto questo?

Il modello consumistico che si è creato è basato su un meccanismo distruttivo, che prevede l’aumento del numero di animali uccisi per il consumo di carne e l’aumento quindi degli allevamenti intensivi, che si stanno facendo sempre più grandi, pericolosi e inquinanti. 

Gli animali confinati negli allevamenti intensivi – per crescere e vivere – hanno bisogno di spazi e di mangime, composto principalmente da leguminose e cereali (come la soia).

Basando la nostra dieta sulla carne e i suoi derivati ci stiamo mangiando, un boccone alla volta, le nostre foreste pluviali. Oltre a causare enormi sofferenze a miliardi di animali in tutto il mondo. 

Cosa fare per invertire questa terribile tendenza? Per fortuna, possiamo fare tanto, anche nel nostro piccolo. Scegliere di consumare sempre meno – o non consumare affatto – la carne e prodotti derivati animali è un primo passo che ognuno di noi può compiere, ed è la prima cosa che ognuno di noi può scegliere di fare per aiutare il Pianeta: lo stile alimentare che adottiamo, infatti, è una decisione importantissima che influisce in modo diretto sul clima, sugli animali e sull’ambiente.


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