Nestlé si impegna ad abbandonare le uova da allevamenti in gabbia
Nestlé, la più grande azienda alimentare al mondo, si allontana dagli allevamenti in gabbia. In un comunicato, diffuso sul sito internazionale, l’azienda si è impegnata pubblicamente a smettere di utilizzare uova di tipologia 3, ovvero quelle provenienti da allevamenti in gabbia, in tutte le produzioni a livello globale. Per quanto riguarda gli Stati Uniti e l’Europa, e dunque anche l’Italia, questo obiettivo sarà raggiunto entro il 2020, mentre nel resto del continente americano, il Medio Oriente, l’Africa e l’Oceania la scadenza è prevista per il 2025. Questo annuncio è giunto dopo conversazioni tra l’amministrazione di Nestlé e diverse organizzazioni per la protezione animale in tutto il mondo, tra cui Animal Equality Italia.
Quasi scontata l’importanza di questo impegno, giunto dalla maggiore realtà alimentare nel mondo, che si unisce alle centinaia di altre aziende, tra cui le concorrenti italiane Ferrero e Barilla, che con le loro politiche stanno mettendo la parola “fine” all’utilizzo delle gabbie per le galline ovaiole. Al momento, in Italia sono più di 30 le aziende che hanno deciso di fare la loro parte per migliorare le condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Animal Equality ha collaborato in questo senso con oltre 15 aziende nell’ultimo anno solamente in Italia, costruendo un dialogo che avrà ripercussioni su oltre 2 milioni e mezzo di galline.
Nel nostro paese, il settore trainante è quello della ristorazione collettiva. Nella top ten, spiccano gli impegni di aziende come CIR food, Dussmann, Pellegrini e Camst accanto ai giganti internazionali Elior e Sodexo, mentre la numero uno del settore Marr, che fa capo al Gruppo Cremonini, è tra le poche, insieme a Serenissima, a rifiutarsi di aprire un dialogo in merito. A seguire c’è la grande distribuzione, che dopo l’abbandono delle uova in gabbia da parte di Coop, raggiunto già nel 2010, ha visto unirsi Esselunga, Carrefour, Auchan, Pam e Bennet. Anche qui, però, diverse “pecore nere”, prima fra tutti Eurospin, che tutt’ora si ostina a non voler prendere in considerazione questa scelta nonostante sia oggetto da mesi di una campagna d’informazione proprio su questo argomento. Eurospin però è in buona compagnia, con Conad, Selex e altre aziende minori che si rifiutano di cambiare la filiera.
L’Italia sta evidentemente seguendo l’esempio di Svizzera, Germania e Austria, dove l’allevamento in gabbia per le galline ovaiole è praticamente scomparso, proprio a seguito del fiorire delle politiche aziendali cosiddette “cage-free”. Questo trend è destinato a durare anche nel nostro paese, come dimostrano i dati di produzione e consumo. Attualmente, in Italia sono allevati oltre 40 milioni di galline ovaiole; la percentuale di allevamenti privi di gabbie è pari al 34,3% ed è in forte e costante crescita negli ultimi anni. Inoltre, secondo il Rapporto Coop 2017, l’analisi delle vendite totalizzate nei primi sei mesi del 2017 presso i punti vendita della distribuzione organizzata in Italia vede un promettente calo dell’8,2% delle vendite di uova da allevamento in gabbia.