Huffington Post: ‘mangiare carne di pollo non è un’abitudine sana’. C’era da aspettarselo?


Con un articolo divenuto virale sul web, l'Huffington Post ha recentemente smontato uno dei miti più diffusi sulla nostra alimentazione: mangiare carne di pollo non è più un'abitudine così sana. In questo articolo vi spiegheremo perché.


È un dato di fatto: più un concetto è elementare e dato per scontato, più noi tendiamo a dimenticarcelo. Non lo facciamo intenzionalmente, tuttavia più una cosa è semplice, più questa tende a scomparire dai nostri processi di analisi

Non spaventarti: entriamo subito nel vivo della questione.

Il concetto a cui facciamo riferimento è un preciso meccanismo economico, così banale da essere escluso spesso, troppo spesso, dai nostri discorsi. 

Ogni azienda, per massimizzare i propri profitti, tende a minimizzare i costi ed a cercare di vendere più prodotti possibili. Succede per tutte le attività commerciali del mondo ed ovviamente anche l’industria della carne risponde a questa basilare legge del mercato.


Semplice vero? Certo, ma ora tentiamo di tenerlo a mente, perché c’è un però e questo però ha a che fare con quanto vi stiamo per raccontare.

L’industria della carne si differenzia da tutte le altre industrie per un motivo ben preciso.

Il prodotto che tratta, la merce su cui costruisce i propri profitti è una ‘merce’ unica: questa ‘merce’ è il corpo, o meglio, la vita degli animali.

 

Questa differenza ha conseguenze ed implicazioni differenti, ma la più elementare – così tanto elementare che spesso ce ne dimentichiamo – è che ogni taglio ai costi di produzione, ogni tentativo di minimizzare le spese e massimizzare il guadagno avrà sempre una ripercussione concreta sulla vita degli animali allevati

Ed il più delle volte, si traduce in un cambiamento in negativo.

Non è un concetto difficile: se un’azienda vuole guadagnare di più, o spende meno nei processi di produzione, o vende più prodotti.

Oppure entrambi, come nel caso della carne di pollo, la storia che ha appena raccontato l’Huffington Post e che vogliamo contribuire a diffondere.


Esiste una domanda di carne di pollo ed esiste un’industria che si occupa di sopperire a questa domanda allevando ed uccidendo polli

Per darvi un’idea delle dimensioni di questa domanda e di questa offerta, solo in Italia, mangiamo circa 9 polli l’anno a testa. Aggiungeteci tutta la carne che viene macellata ma buttata perché invenduta, ed avrete un’idea di quanto siano drammatici questi numeri.

Si tratta di una domanda enorme, e per soddisfare questa richiesta del mercato, l’industria del pollo è stata ‘costretta’ a modificarsi nel tempo:

bisogna allevare polli più grossi, in meno tempo e bisogna farlo tagliando più costi possibili perché, più il prezzo di questa carne viene tenuto basso, più carne di pollo si vende.

 

 

La formula “più polli, più grossi ed in meno tempo” si è ritradotta in animali che spesso collassano sotto il peso del proprio corpo e vengono lasciati morire agonizzanti nel proprio dolore. Grazie a questa crescita del tutto innaturale, gli infarti, il collasso degli organi interni o della loro struttura muscolare sono solo alcuni dei problemi che questi animali devono fronteggiare ogni giorno

Ma l’esasperazione della crescita dei polli in un modo così tanto naturale, non ha avuto solo ripercussioni crudeli sulla salute di questi animali: ne hanno risentito anche i valori nutrizionali medi della loro carne.

È stato messo nero su bianco anche sul World’s Poultry Science Journal, il periodico della World’s Poultry Science Association, l’associazione di avicoltura scientifica più antica al mondo:

“La sempre maggiore pressione genetica per migliorare i tassi di crescita e di rendimento dei muscoli del petto dei polli da carne ha portato ad un’elevata incidenza di differenti anomalie proprio in questi muscoli.”

 

 

Nel 2012, un altro studio ha mostrato come il 55,8% dei polli da carne fosse stato colpito da miopatie muscolari a cui è stato dato il nome di White Striping. Nel 2016, solo quattro anni più tardi, questo numero è lievitato fino alla preoccupante cifra del 96% Il White Striping, oltre a causare dolori all’animale, provoca una perdita di qualità ed un calo dei valori nutrizionali nella carne del petto di pollo.

L’esempio più concreto è stato studiato negli U.S.A.: il muscoli dei polli presentano una massa grassa molto più preponderante, al punto che la carne di pollo venduta oggi ha il 224% di grasso in più ed il 9% di proteine in meno rispetto alla carne non affetta da queste malattie (il restante 4%).

In più, è stato inoltre registrato come il livello di colesterolo rilevato in questa carne fosse paragonabile a quello che troviamo nelle carni rosse.

Solo negli Stati Uniti, i polli rappresentano il 95% degli animali allevati ed uccisi per la produzione di carne ed il 96% di questa carne registra i valori che vi abbiamo esposto.


 

Se state pensando che la situazione italiana sia completamente differente, vi forniamo un altro dato: AltroConsumo, principale associazione di consumatori italiana, ha rilevato la presenza di batteri inclini a sviluppare resistenza agli antibiotici nel 63% dei campioni di carne di pollo acquistata in Italia. Negli altri paesi europei le percentuali sono più basse di circa 10 punti. Altroconsumo sostiene che tra una decina d’anni potremmo «arrivare a un punto in cui saremo a corto di antibiotici efficaci e di ritrovarci nella stessa condizione in cui eravamo prima che gli antibiotici fossero scoperti: privi cioè di una fondamentale protezione dalle malattie infettive».

Tutto questo perché effettuare cure antibiotiche di massa sui polli in maniera preventiva, impatta meno sul bilancio dell’azienda a fine anno rispetto a cure mirate sugli animali che effettivamente stanno male.


Non ce lo includiamo spesso nelle nostre analisi personali, ma il fine ultimo di un’azienda rimane sempre incrementare i propri introiti tagliando i costi e moltiplicando le vendite. Qualsiasi attività commerciale vuole produrre di più, spendere meno e vendere di più.

Per l’industria della carne di pollo, questo si è ritradotto in nuove sofferenze per gli animali ma ha incredibilmente abbassato la qualità del prodotto messo in vendita.

Aggiungete alla lista la competizione dei prezzi al ribasso dovuta agli anni di recessione che stiamo vivendo, una legislazione poco presente ed una mancanza di informazione generale… ed avrete in mano la ricetta per la pericolosissima situazione in atto, situazione contro cui bisogna prendere provvedimenti il prima possibile. Per la nostra salute, per quella del pianeta e per quella degli esseri umani.


Fortunatamente però, qualcosa inizia a muoversi. I dati relativi al 2016 hanno dipinto una pessima annata per i produttori di carne nel nostro paese, raccontando invece l‘esplosione dei prodotti a base vegetale. Gli italiani che nel 2016 hanno abbandonato definitivamente carne e derivati sono triplicati rispetto all’anno precedente.

La strada è tracciata, e ognuno di noi ha la possibilità di rendere questo cambiamento ancora più veloce, risparmiando sofferenze agli animali, all’ecosistema ed ai nostri corpi: invertire la rotta ed iniziare a puntare ad un mondo migliore è compito di tutti, e cambiando poche abitudini giornaliere, insieme, ce la faremo.

 

 

Prossimo articolo:

Quanto conosci l'industria della carne di pollo? Ecco 7 cose da sapere.


Fonti


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