L’industria della carne si è sviluppata guardando soltanto al profitto a scapito degli animali, delle persone e dell’intero pianeta.
Il rapporto GCAP 2019 sul diritto al cibo evidenzia le caratteristiche di un sistema ancora lontanissimo dagli obiettivi di sostenibilità quanto di solidarietà.
È passato un secolo e mezzo dall’invenzione della cosiddetta “catena di smontaggio”, ovvero la meccanizzazione del primo mattatoio. Da allora, gli animali sono diventati corpi, che una volta macellati, vengono letteralmente smontati per poter essere poi venduti all’interno delle grandi catene di distribuzione. Inoltre, dal secondo dopoguerra in poi, l’industrializzazione ha cambiato drasticamente il settore agroalimentare andando in una direzione che ha come scopo quello di creare profitti sempre maggiori per quelli che Stefano Liberti, giornalista italiano di calibro internazionale autore di numerosi libri sul tema, chiama “I signori del cibo”: un numero limitatissimo di aziende capaci di orientare i nostri gusti e controllare il mercato.
Nel frattempo, la stragrande maggioranza delle fattorie dove da bambini immaginavamo vivessero gli animali sono state rimpiazzate dalle fabbriche di carne che documentiamo con le nostre investigazioni: gli allevamenti intensivi.
Tra le tante promesse dell’attuale modello agroindustriale c’era quella di sfamare il mondo ma oggi, come conferma il Rapporto GCAP 2019, è evidente che i danni dell’allevamento industriale superino di gran lunga i supposti benefici, considerato l’impatto devastante sull’ambiente – con emissioni tossiche, erosione del suolo, deforestazione e perdita di biodiversità – sulle persone – in termini di salute e diritto al cibo – e ovviamente sulla vita degli animali.
I nostri investigatori hanno visto e documentato l’inferno dei mattatoi e la dolorosissima seppur breve vita degli animali che nascono e muoiono soltanto per essere consumati. La loro sofferenza alimenta un’industria basata unicamente sullo sfruttamento di risorse animali, umane e ambientali che occorre rivoluzionare nelle logiche più profonde.
L’epoca della carne: lo sfruttamento delle risorse e delle persone
Nella seconda metà del ‘900, la cosiddetta rivoluzione verde ha cambiato per sempre la nostra geografia naturale. Dagli anni ’40, i grandi investimenti pubblici sulla ricerca in ambito agricolo hanno permesso di ottenere, grazie all’ibridazione, varietà di grani e altri prodotti del seminativo ad alta resa. Il conseguente aumento della produttività ha portato ad un ulteriore crollo dei prezzi agricoli, insostenibili per i piccoli contadini dei paesi in via di sviluppo.
Sono state selezionate soltanto le varietà vegetali più robuste ed efficienti, utilizzate perlopiù per nutrire gli animali. Dal 1900 a oggi, come risultato, abbiamo perso il 75% della biodiversità delle colture. Stiamo utilizzando soltanto 9 specie sulle 30mila commestibili.
Intanto, le norme commerciali e le regole di mercato hanno favorito produzioni agricole massicce e specializzate in un numero limitatissimo di prodotti, a scapito delle piccole imprese schiacciate dalla concorrenza sleale dell’agribusiness. I grandi allevamenti hanno acquisito le aziende di lavorazione e integrato molti dei passaggi intermedi per arrivare al prodotto finito, togliendo agli agricoltori ogni potere contrattuale sul prezzo del proprio lavoro e la possibilità di scegliere rispetto all’acquisto di materiali e alla vendita dei prodotti.
Tutto questo – aggiunto ai sussidi statali, che da decenni consentono di mantenere bassissimi i prezzi degli alimenti e quindi di monopolizzare il settore zootecnico – si traduce inevitabilmente nella migrazione di persone dalle campagne alle città nei paesi industrializzati, e nella perdita del diritto alla terra dei popoli indigeni nei paesi meno sviluppati.
Ecco allora che allo sfruttamento meccanico e crudele degli animali si aggiungono lo sfruttamento dell’ambiente e delle persone, perché industria e distribuzione abbattono i costi di produzione riversandoli su società e ambiente, lasciando il costo di una scelta di consumo più sostenibile sulle sole spalle dei consumatori.
In questo contesto, è davvero necessario considerare la propria alimentazione un bene collettivo oltre che una scelta individuale, per poter reclamare ogni tipo di misura che possa stravolgere la logica dello sfruttamento a favore di un approccio davvero sostenibile per gli animali, l’uomo e la natura.
Animal Equality continuerà ad impegnarsi senza sosta per portare alla luce la realtà degli allevamenti, sensibilizzare le aziende e fare pressione politica per un sistema alimentare più giusto, ma milioni di persone hanno già dato il via al cambiamento passando ad un’alimentazione senza crudeltà sugli animali e sull’ambiente.
Scegli di farlo anche tu per un futuro più giusto non solo per gli animali, ma anche per l’ambiente e tutti noi, le persone che lo abitano.