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Danimarca: iniziata l’uccisione dei milioni di visoni, condannati perché portatori di una nuova mutazione del Coronavirus


Intanto anche tra i visoni Italiani si riscontrano contagi, mentre in Olanda vengono abbattute 215 mila galline portatrici di aviaria e nuovi casi di peste suina si riscontrano in tutta Europa. Quali altre prove servono per capire che il problema è il modo in cui alleviamo e sfruttiamo gli animali? 

Il 5 Novembre del 2020, dopo che 12 persone in Danimarca sono state contagiate da una nuova mutazione di Coronavirus, la premier Mette Frederiksen ha deciso di predisporre lo sterminio di 17 milioni di visoni, ovvero la totalità degli animali allevati nel Paese per produrre pellicce. Stando alle indagini in corso, il virus sarebbe mutato in questa specie, e continuando a farlo potrebbe trasformarsi in un nuovo ceppo contro cui i vaccini attualmente in sviluppo sarebbero inefficaci.

 “Il rischio è troppo grande […] Non voglio la responsabilità di un nuovo coronavirus in nome del nostro interesse nell’export di pellicce”.

La settimana precedente le autorità della Danimarca avevano già provveduto a uccidere circa mezzo milione di visoni: in quel caso l’intento era quello di “restringere il campo” ai soli visoni contaminati e a quelli allevati entro un raggio di 8 chilometri da allevamenti colpiti da infezioni. Ma dopo il contagio di 12 persone residenti in località lontane dagli allevamenti interessati la decisione delle autorità è stata ferma e così, ancora una volta, a pagare il prezzo più alto sono gli animali.

Il problema però, anche con l’abbattimento di 17 milioni di esseri senzienti, non è risolto, anzi: insieme alla Danimarca, sono 6 i Paesi nel mondo in cui i visoni negli allevamenti sono risultati positivi al Sars-Cov-2. L’Oms ha annunciato che tra questi c’è anche l’Italia.

Perché i visoni si contagiano? I visoni sembrano essere particolarmente suscettibili a questo virus, inoltre il loro allevamento – come tutti gli allevamenti di tipo intensivo – prevede la concentrazione di tantissimi animali in spazi ristretti, il che ovviamente rende più facili i contagi. I visoni dunque sarebbero stati contagiati da operatori e allevatori positivi che non indossando corrette protezioni hanno passato il virus agli animali.

Nei visoni poi succede quello che succede ai virus in continuazione, ovvero mutano. In particolare la mutazione riscontrata nei visoni riguarda una specifica proteina chiamata Spike, quella che il virus utilizza per entrare nelle cellule e che può rendere il virus più contagioso e quindi aumentarne ulteriormente la circolazione. Abbiamo quindi assistito ad una zoonosi inversa: per i visoni, in pratica, la nostra specie è stata ciò che per gli umani è stato (forse) il pipistrello.

Virus, animali e allevamenti 

C’è da sorprendersi? Non troppo, risponderemmo noi. Da sempre gli allevamenti di animali, siano essi per la produzione di pellicce o per la produzione alimentare, rappresentano un rischio per la salute pubblica.

Secondo gli esperti, infatti, uno dei principali fattori di rischio epidemiologico è attualmente il sistema convenzionale di allevamento. Particolarmente pericolosi a questo proposito sono gli allevamenti intensivi, dove viene confinata la stragrande maggioranza degli animali destinati al consumo umano.

A causa dell’altissima densità e della bassa diversità genetica degli animali che vi sono allevati, tali allevamenti offrono uno spazio eccellente per la rapida diffusione dei virus. Questo fenomeno è favorito anche dalla altissima intensità della produzione, che provoca uno stress cronico a questi animali e di conseguenza indebolisce il sistema immunitario.

E questo rischio si presenta a noi in continuazione, ad esempio pochi giorni fa In Olanda sono state abbattute circa 215.000 galline dopo che un’epidemia di un ceppo altamente contagioso di influenza aviaria è stata rilevata in una fattoria nel sud-est del Paese. Anche in questo caso gli animali hanno pagato il prezzo più alto, a causa di uno degli errori umani più grave dell’ultimo secolo, ovvero pensare di poter trattare gli animali come oggetti per la produzione alimentare.

Altro esempio? In Germania si sta cercando ormai da qualche mese di contrastare il dilagare della peste suina africana: nei giorni scorsi anche la Sassonia ha segnalato il suo primo caso confermato e ora si teme che il virus possa raggiungere gli animali negli allevamenti, il che rappresenterebbe una catastrofe. 

Il virus, infatti, al momento innocuo per gli uomini, è altamente contagioso e devastante per i maiali e la cosa peggiore è che per fermarne la diffusione si ricorre ad abbattimenti su larga scala. Lo stesso allarme è già scattato in altri Paesi europei, anche in Italia. 

Sul caso è intervenuta anche la Ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova: sulla scorta di numerose richieste da parte degli allevatori italiani ha infatti deciso di proporre un decreto legge per disporre l’adozione del Piano regionale di gestione e controllo delle popolazioni di cinghiali da parte delle Regioni, per prevenire la diffusione della Peste Suina Africana, in pratica via libera all’uccisione di animali selvatici che potrebbero essere portatori del virus per prevenire l’esplosione di un’epidemia tra maiali allevati.

E questi esempi sono solo la punta dell’iceberg: ci sono circa 1.400 agenti patogeni noti alla medicina moderna, il 60% di questi sono derivati da animali. Le malattie più pericolose che hanno colpito la popolazione umana negli ultimi anni sono dovute a zoonosi, oltre al COVID-19 troviamo anche le influenze aviarie e suine che ci hanno colpito negli anni, ma anche patologie più gravi come la sindrome respiratoria acuta grave SARS e vari tipi di febbre emorragica, tra cui l’Ebola.

Un rischio troppo grande

“Il rischio è troppo grande”. Queste sono le parole usate dalla premier danese che hanno motivato la decisione di predisporre l’uccisione di 17 milioni di visoni. Il rischio di continuare ad allevare animali come facciamo ora è troppo grande sì, ma perché si arriva a capire quali sono i reali rischi solo quando le minacce sono presenti o imminenti?

In quante altre specie animali c’è bisogno che muti il virus prima che l’umanità capisca quanto sia rischioso l’allevamento intensivo e che agisca drasticamente in tal senso? Anche se si stimasse che il rischio sia “basso”, quale percentuale di rischio siamo disposti a tollerare quando a essere in gioco è la nostra sopravvivenza? 

Basta che il virus muti una volta all’anno in un animale fra i miliardi che vengono allevati affinché questo incubo che stiamo vivendo venga prolungato indefinitamente.

Speravamo che dopo l’esplosione di questa pandemia fosse più chiaro che la salute degli animali, la salute del pianeta e la salute delle persone sono strettamente collegate, ma non è andata così e neanche nelle fasi più gravi dell’emergenza l’allevamento e l’uccisione degli animali sono stati fermati. 

I piani dell’Europa per migliorare la situazione vengono disattesi. Le promesse di non investire più sugli allevamenti intensivi, tradite. Noi di Animal Equality non ci fermeremo e continueremo a lavorare con le istituzioni per far sì che cambiamenti concreti vengano intrapresi in favore degli animali ancora costretti negli allevamenti.

Inoltre ognuno di noi ha ancora il potere delle proprie scelte: basta qualche piccolo cambiamento nello stile di vita di ognuno di noi. Tre volte al giorno, abbiamo l’occasione di scegliere che cosa mangiare, che cosa mettere nel nostro carrello della spesa, quali industrie finanziare. 

Scegliere consapevolmente significa scegliere di costruire un futuro migliore per gli animali, il pianeta e per le future generazioni.


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