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L’impatto ambientale degli allevamenti: le nostre immagini su Rai 3

Ottobre 20, 2021 Aggiornato: Marzo 12, 2024

Ieri durante la trasmissione Cartabianca sono andate in onda alcune delle immagini che abbiamo raccolto negli allevamenti intensivi di tutta Italia insieme ad altre associazioni e attivisti e che mostrano il terribile impatto di questi sull’ambiente.

Ieri sera nel corso della puntata del programma televisivo Cartabianca – condotto da Bianca Berlinguer – su Rai3 sono andate in onda diverse immagini raccolte dal team investigativo di Animal Equality, dall’organizzazione Four Paws e dall’ex parlamentare 5 Stelle e attivista per i diritti animali Paolo Bernini negli allevamenti intensivi che violano le leggi in tema di protezione ambientale con un impatto devastante sul territorio. 

Guarda il servizio andato in onda su Rai 3 con le nostre immagini 

Le nostre immagini sono state apripista di un dibattito tra gli ospiti in studio: Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico; Paola Maugeri, conduttrice televisiva e radiofonica; Elisabetta Isoardi, conduttrice televisiva e Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni e – aggiungiamo – amministratore delegato di Inalca del Gruppo Cremonini, una delle più grandi aziende produttrici di carne in Italia.

Il dibattito si è subito acceso: anche di fronte alle immagini che abbiamo raccolto e che dimostrano l’esistenza delle violazioni delle leggi a tutela dell’ambiente negli allevamenti – oltre a terribili crudeltà perpetrate sugli animali – Scordamaglia ha affermato che la maggior parte degli allevamenti in Italia non commette questo tipo di infrazioni.

Non sappiamo a quali allevamenti facesse riferimento Luigi Scordamaglia, ma in quasi tutti quelli che abbiamo documentato nel tempo abbiamo potuto riscontrare situazioni preoccupanti, spesso con sversamenti di liquami irregolari, o mancati smaltimenti di cadaveri di animali deceduti in allevamento, il tutto con un preoccupante impatto sul territorio e – più in generale – sull’ambiente. 

E non solo noi. Come hai potuto vedere nel servizio, le immagini raccolte negli allevamenti di bufale dall’associazione Four Paws, divulgate e denunciate in collaborazione con Animal Equality, rivelano le stesse crudeltà e i reati ambientali. Anche Paolo Bernini, ex parlamentare italiano che ha collaborato con noi per la realizzazione del mini-documentario Una Bufala Tutta Italiana ha lavorato e continua a lavorare per mostrare le condizioni critiche di moltissimi allevamenti che vertono in condizioni pietose. 

300.000 tonnellate di carne importata sulle tavole italiane

Mentre durante la puntata di Cartabianca  il geologo Mario Tozzi – dati della John Hopkins University alla mano – mostra come a livello globale il consumo di carne abbia un impatto sull’ambiente maggiore di quello del traffico veicolare, Scordamaglia continua a sostenere che i dati non siano reali, perché non si riferiscono propriamente all’Italia.

Il presidente di Assocarni forse non sa che l’Italia non è un’isola e che quindi è dovere interessarsi non solo a quello che accade nel nostro Paese, ma anche quello che accade nel resto del mondo visto che il pianeta messo a rischio dall’eccessivo consumo di carne è lo stesso per tutti.

Non solo, l’Italia è anche grande importatrice di carni, soprattutto bovine, quel settore tanto lodato da Scordamaglia che afferma che “oltre il 90% degli allevamenti bovini in Italia sono virtuosi, producono con i propri scarti energia preziosissima e produce un letame che serve al terreno” importa però tonnellate di carne bovina dall’estero.

Nel 2020 secondo i dati ISMEA l’Italia ha importato 321.685 tonnellate di carne bovina; l’Italia è oltretutto, con un import tra le 25.000 e le 30.000 tonnellate il primo importatore europeo di carne bovina fresca e surgelata dal Brasile, un’industria quella brasiliana che ha un impatto devastante sulle aree naturali come abbiamo mostrato con la nostra ultima inchiesta nel Pantanal.

Ma anche restando nei confini del bel Paese le cose non vanno meglio.

L’Italia dell’ammoniaca e del PM10

Per quanto Scordamaglia possa affermare, i dati parlano chiaro: il problema dell’allevamento intensivo, infatti, oltre all’estrema sofferenza causata agli animali che più volte abbiamo rivelato, è la gestione dei liquami, e infatti nel Nord Italia, dove si trova la maggior parte o degli allevamenti intensivi del Paese si trova anche la più alta concentrazione di PM10 in Italia. 

In un singolo capannone di un allevamento vivono migliaia di animali che giornalmente mangiano e quindi producono urina e feci. Questi vengono detti liquami.

Gli allevatori prendono questi liquami e li conservano in vasche o “lagoni” posti al di fuori degli allevamenti, all’interno dei quali vengono stipati centinaia di migliaia di metri cubi di liquami, che rimangono qui fino a quei periodi dell’anno in cui la normativa prevede la possibilità di spargerli sui campi circostanti; la normativa lo prevede perché a differenza di quanto afferma Scordamaglia la maggior parte degli allevamenti non produce “preziose risorse” da queste deiezioni ma semplicemente se ne libera sui terreni che li circondano

Anche laddove i liquami vengono gestiti regolarmente – ovvero stipati correttamente nei vasconi esterni, e rilasciati solo nei periodi in cui è legale farlo, con i metodi previsti dalla legge – la situazione è critica poiché ci si trova di fronte ad un numero altissimo di rifiuti altamente inquinanti da gestire. 

I liquami infatti rimangono nei vasconi all’aria aperta tutto l’inverno, evaporando e  rilasciando così nell’aria grandi quantità di ammoniaca che contribuisce alla formazione di PM10; numerosi studi hanno evidenziato una correlazione tra esposizione acuta a particolato aerodisperso (come il PM10) e sintomi respiratori, alterazioni della funzionalità respiratoria, ricoveri in ospedale e mortalità per malattie respiratorie. Inoltre, l’esposizione prolungata nel tempo al particolato, già a partire da dosi minime, è associata all’incremento di mortalità per malattie respiratorie, di patologie quali bronchiti croniche, asma, riduzione della funzionalità respiratoria e di rischio di tumore delle vie respiratorie.

E il problema si fa ancora più grave considerando che le leggi in vigore non vengono sempre rispettate, anzi, come abbiamo dimostrato in numerose inchieste trattamenti scorretti dei liquami sono purtroppo all’ordine del giorno. 

Secondo i dati ARPA – l’Agenzia regionale per la protezione ambientale – in Lombardia l’85% dell’ammoniaca proviene dai liquami prodotti da allevamenti, e l’ammoniaca è uno dei principali fattori per la formazione del PM10. 

In un servizio andato in onda alcuni mesi fa durante il programma Report, Marco Bartoli, del dipartimento di Bioscienze dell’Università di Parma, ha spiegato che nell’area del fiume Oglio – che scorre in Lombardia, nelle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova – si trova una concentrazione esagerata di azoto, dovuto all’eccesso di liquami. 

Scordamaglia sostiene che le preziose deiezioni degli animali allevati servano per “arricchire” i terreni ormai inutilizzabili, ma secondo i dati nella zona del Bresciano – dove sarebbero consentiti 170 kg di azoto per ettaro – se ne trovano 500 kg per ettaro (e quello che non viene assorbito finisce diretto nella falda) e le concentrazioni dei nitrati, sostanze altamente inquinanti, sono più alte dove ovviamente l’attività zootecniche sono di più, come dimostrano gli studi del Dott. Marco Bartoli e numerose altre organizzazioni come Legambiente e Greenpeace.

A questo si aggiunge anche un altro dato importante: l’Italia è al momento sotto procedura di infrazione perché non rispetta quanto previsto nella direttiva UE sui nitrati, uno strumento legislativo che serve a tutelare ambiente, animali e persone da queste sostanze altamente inquinanti.

La vera causa di questa grande quantità di rifiuti, liquami e nitrati è proprio la densità negli allevamenti intensivi: alleviamo troppo, troppi animali, causando troppo inquinamento e terribili sofferenze. 

Cosa possiamo fare? 

L’industria della carne, in questo caso rappresentata da uno dei suoi esponenti di punta, Luigi Scordamaglia, cercherà sempre di difendere il suo operato, anche di fronte all’evidenza e di fronte ai video della sofferenza animale, anche di fronte alle prove e alle denunce per le violazioni delle leggi a difesa dell’ambiente. 

Questi casi saranno dipinti come “mele marce”, gli errori di un settore che rappresenta l’eccellenza del nostro Paese, ma noi sappiamo che non è così. Siamo entrati negli allevamenti e nei macelli di tutta Italia e abbiamo dimostrato e continuiamo a dimostrare ogni giorno come le immagini dipinte dalle pubblicità e dalle parole dell’industria siano ben lontane dalla verità.

Fino a quando avremo voce continueremo a parlare di questa verità, e continueremo a lavorare per portarla alla luce, in TV, sui nostri canali social e con ogni altro nostro mezzo possibile, anche tu puoi aiutarci in questa battaglia.


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