L’Europa si piega di fronte ai trattori: la Commissione propone una revisione della PAC
Le modifiche approvate dal Comitato Speciale Agricoltura puntano a concedere “più flessibilità” sul rispetto dei vincoli ambientali
Probabilmente nelle scorse settimane avrai visto o sentito di questa “protesta dei trattori”, ma di cosa si tratta esattamente?
Nelle prossime righe vogliamo spiegarti le motivazioni dietro questa protesta, gli effetti che ha avuto e perché, purtroppo, gli animali allevati a scopo alimentare ci rimetteranno ancora una volta.
La protesta dei trattori contro il Green Deal e la risposta dell’Unione Europea
Il Green Deal è il programma ambientale pensato dall’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas serra e combattere la crisi climatica.
Tra i temi toccati nel Green Deal c’è (anzi, a questo punto sarebbe più corretto dire c’era) la riduzione dell’uso di pesticidi e la tenuta a riposo di una porzione di terreno, giusto per citare due esempi che hanno scatenato la protesta.
Migliaia di agricoltori hanno protestato in tutta Europa contro queste politiche perché ritenute troppo severe e penalizzanti a livello economico.
Oltre ai trattori che hanno invaso le strade delle principali città europee, le manifestazioni degli agricoltori hanno assunto anche altre forme, l’ultima proprio pochi giorni fa, quando “i trattori” hanno appiccato un rogo davanti al parlamento europeo, spargendo letame e patate.
La pressione della protesta ha dato i suoi frutti e l’Unione Europea, per fermarla, ha deciso la scorsa settimana di dare il via libera alla proposta di revisione della PAC, la Politica Agricola Comune avanzata dalla Commissione europea.
Le modifiche approvate dal Comitato che raduna i ministri dell’agricoltura dei 27 stati membri, tra cui il nostro ministro Francesco Lollobrigida, serviranno a ridurre gli oneri amministrativi per le aziende agricole e a concedere più flessibilità sul rispetto dei vincoli ambientali.
Ma, più nel dettaglio, cos’è questa PAC e perché a chiunque ha a cuore la salute degli animali e dell’ambiente dovrebbe interessare?
I fondi europei della PAC vanno anche agli allevamenti intensivi
La PAC, la Politica Agricola Comune europea, è stata istituita dall’Unione nel dopoguerra per incrementare la produttività agricola, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e prezzi ragionevoli ai consumatori.
La politica europea per il settore agricolo è una di quelle che impegna più fondi del bilancio comunitario, circa il 39%, ed è quindi tra le politiche di maggiore importanza.
Parliamo di una politica nata con un fine nobile, ma che ora presenta un grande problema. Quale? Il modo in cui vengono impiegati i suoi fondi.
Negli scorsi anni, il 75% dei fondi della PAC era destinato al finanziamento degli allevamenti intensivi. Con questa ultima decisione di allentare ancora di più la presa sugli agricoltori, il Consiglio UE preferisce ancora una volta mantenere lo status quo, pur sapendo quale impatto devastante abbiano sull’ambiente e sugli animali gli allevamenti intensivi.
La nuova PAC poteva essere una speranza per sradicare un sistema che da anni continua a mettere al primo posto la produttività a discapito di tutto il resto, ma sarà di nuovo un’occasione persa.
Purtroppo però, finora non è stato così e la PAC destina soldi che potrebbero essere impiegati decisamente meglio, per sostenere un’industria che non starebbe in piedi con le proprie gambe.
Scaviamo un po’ più a fondo.
Dall’Europa: più soldi a carne e derivati che a verdure e legumi
Secondo uno studio pubblicato su Nature Food nel 2013 – e ripreso recentemente dal Guardian – oltre l’80% del denaro pubblico concesso agli agricoltori attraverso la PAC è andato ai prodotti di origine animale.
Il sistema di sovvenzioni quindi destina più soldi a un sistema che usa più risorse e più spazio per produrre meno cibo di quanto si potrebbe, il tutto condannando a una vita di sofferenza milioni di animali.
Basti pensare che per produrre la stessa quantità di proteine, la carne bovina richiede una superficie 20 volte superiore a quella delle noci e 35 volte superiore a quella dei cereali.
I ricercatori hanno collegato i registri delle sovvenzioni a un database sui flussi alimentari e hanno tracciato il denaro pubblico attraverso la catena di approvvigionamento nel 2013, l’ultimo anno per il quale quest’ultimo disponeva di dati.
Da allora la PAC è stata riformata due volte, ma la ripartizione dei sussidi diretti è rimasta pressoché costante per gli alimenti di origine animale e vegetale.
Nel 2022 Florian Freund, economista dell’Università di Braunschweig, ha collaborato alla stesura di uno studio che ha rilevato che circa la metà dei sussidi dell’UE è stata destinata agli alimenti di origine animale. Lo studio illustra che la maggior parte dei sussidi non sostiene una transizione urgentemente necessaria verso diete sane e sostenibili.
Tratto dal The Guardian
L’Italia si schiera in Europa contro protezione di animali e ambiente
Mentre la PAC sembra aver subito una battuta d’arresto, Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato un’altra importante revisione, quella della IED.
La IED (direttiva sulle emissioni industriali) è il principale strumento dell’UE che monitora e regola l’inquinamento prodotto dagli impianti industriali, compresi quindi gli allevamenti intensivi.
L’Italia – insieme all’Ungheria – si è opposta fin da subito all’approvazione di questa revisione.
Per quale motivo?
Il punto centrale (e più divisivo) della revisione riguardava proprio l’ampliamento delle strutture che saranno coperte dalla direttiva.
L’ampliamento riguarda per esempio i grandi allevamenti di maiali (sopra i 350 animali), di polli allevati per la loro carne (280 animali) e di galline ovaiole (300 animali).
Durante la votazione del Consiglio UE – in formato Economia e Finanza – il ministro italiano Giancarlo Giorgetti ha espresso un voto contrario, si sono invece astenuti Bulgaria, Austria e Romania.
Di fatto l’Italia è quindi rimasta sola nella battaglia per evitare che gli allevamenti intensivi siano soggetti a maggiori e più stringenti controlli sul loro impatto ambientale (infatti il 12 aprile la revisione è stata comunque approvata).
Un’ulteriore prova dello schieramento delle istituzioni italiane al fianco dell’industria alimentare (neanche troppo nascosto) e della mancanza di interesse nel tutelare animali, ambiente e salute delle persone, ma solo nel garantire il profitto all’industria.
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