Ad Arborio nessuno vuole il nuovo maxi allevamento di galline


Le forze dell’ordine reprimono i cittadini che chiedono di fermare la costruzione
In costruzione a pochi chilometri da una riserva naturale protetta, il nuovo allevamento intensivo dovrebbe rinchiudere al suo interno quasi 275 mila galline ovaiole per ogni ciclo produttivo.
Per questi animali, vivere in un allevamento significa soffrire a causa dello sfruttamento estremo a cui sono sottoposti ogni giorno, tra cicli di produzione sfinenti e reclusione forzata.

Ancora una volta, come sempre accade quando un territorio diventa preda dell’industria zootecnica, comitati cittadini ed enti locali si stanno opponendo alla sua apertura. Ma alle proteste finora è seguita solo nuova repressione.
Cosa è successo durante l’ultima protesta
Secondo quanto riportato dalla stampa locale, durante la protesta del 29 giugno organizzata davanti all’allevamento in costruzione, le forze dell’ordine hanno impedito ad alcuni attivisti di dare sostegno con cibo, acqua e ombrelloni alle persone impegnate nel presidio sotto il sole cocente.
Dopo il sequestro di questi beni di prima necessità, tutti i manifestanti sono stati identificati e indagati per i reati di occupazione abusiva dei terreni altrui, inosservanza dei provvedimenti della pubblica autorità e resistenza a pubblico ufficiale.

La Questura di Vercelli ha inoltre notificato 21 fogli di via bandendo le persone coinvolte dai comuni di Vercelli e Arborio.
Presidiare pacificamente sul prato davanti al cantiere in costruzione di un allevamento intensivo, nel 2025 è qualcosa da reprimere con la privazione dei più primari mezzi di sussistenza e con delle misure cautelari derivanti dal codice antimafia. Ecco il potere che i grandi nomi dell’industria zootecnica come Bruzzese hanno sulle istituzioni.
Gli attivisti e le attiviste di Ribellione Animale
La denuncia degli abitanti
Nel Comune di Arborio nessuno vuole che il nuovo allevamento venga costruito. La petizione lanciata dal Comitato RISO, Rete Indipendente Solidarietà e Opposizione, che si è organizzata insieme ad altre associazioni locali per contrastare l’apertura dell’allevamento, ha raccolto rapidamente 40 mila firme di cittadini che chiedono di fermare la sua costruzione.

Nonostante i presidi, le manifestazioni e gli appelli degli abitanti che si rifiutano di vivere in un territorio inquinato, il progetto di apertura del maxi allevamento di galline nella città di Arborio sembra andare avanti.
Si ritiene vergognoso che nel 2025 ci siano ancora enti e istituzioni che rilasciano autorizzazioni per questi insediamenti: da decenni sono note le gravi problematiche in termini ambientali, climatici, sanitari, economici ed etici.
Comitato RISO
Secondo gli attivisti del Comitato, l’allevamento sorgerà a tre chilometri dal Parco delle Lame del Sesia e dalla Riserva Naturale della Garzaia di Villarboit, andando ad erodere 20 mila metri quadrati di suolo fertile e consumando 23 mila metri cubi di acqua ogni anno.
Si tratta di uno spreco incredibile di risorse che servirà ad alimentare un sistema basato sullo sfruttamento di migliaia di esseri senzienti trattati come merci.

L’allevamento danneggia animali, ambiente e persone
Il nuovo allevamento in costruzione ad Arborio minaccia anche la salute delle persone. Il Consiglio direttivo della sezione vercellese dell’Isde, l’associazione medici per l’ambiente, ha comunicato che:
La struttura rischia di incrementare significativamente le emissioni di ammoniaca, che, combinata con ossidi di azoto e zolfo, è precursore di particelle fini (PM 2.5). Già ora il settore zootecnico nazionale è responsabile di oltre due terzi delle emissioni di ammoniaca, con una quota superiore al 17% delle emissioni totali di PM 2.5 dovute agli allevamenti in Italia, percentuale che in Pianura Padana arriva fino all’88% in Lombardia.
Questo significa un’aria più inquinata, soprattutto nei periodi freddi, con gravi ripercussioni sanitarie. Vivere vicino agli allevamenti significa infatti entrare in contatto con odori nauseabondi e con polveri che provocano irritazioni respiratorie come l’asma e bronchiti croniche.
Secondo l’Isde, nel 2021 il PM 2.5 ha causato oltre 46.800 morti premature solo in Italia.

Anche la gestione dei reflui, ovvero le deiezioni prodotte dagli animali allevati, rappresenta un altro rischio ecologico rilevante. Questi infatti sono ricchi di azoto, fosforo, metalli pesanti e residui farmaceutici utilizzati sugli animali che possono penetrare le falde acquifere provocando la proliferazione di alghe nocive e la morte di pesci e altri animali acquatici, oltre alla contaminazione delle acque.
Gli allevamenti devono chiudere, non solo ad Arborio
Aprire un altro allevamento significa continuare ad alimentare un modello di produzione crudele e insostenibile, ma anche estremamente pericoloso.
La concentrazione di animali in spazi limitati facilita di fatto la diffusione di malattie zoonotiche, come l’influenza aviaria, che solo in Italia, quest’anno, ha provocato l’abbattimento di 4 milioni di galline usate per la produzione di uova.

Fermare la costruzione dell’allevamento di Arborio è quindi un atto necessario per limitare la spirale di sofferenza che rischia di colpire ancora altri animali, ambiente e persone.
Dire basta a questo sistema è possibile smettendo di finanziare l’industria alimentare che sfrutta gli animali con le nostre scelte quotidiane, a partire da ciò che mettiamo nel piatto. Scelte alimentari consapevoli, infatti, possono contribuire a ridurre la sofferenza degli animali allevati giorno dopo giorno.

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