Il futuro dei pesci e dei nostri mari


Ogni anno preleviamo dai nostri oceani tra le 90 e le 100 milioni di tonnellate di pesce, per non parlare dei miliardi di pesci allevati. Gli scienziati avvertono: se non invertiamo la tendenza mari vuoti entro il 2048

Negli ultimi decenni una delle grandi preoccupazioni di chi si interessa della salute del Pianeta è la distruzione progressiva degli ecosistemi marini; tra le prime cause di questa distruzione troviamo l’overfishing, ovvero lo sfruttamento eccessivo delle riserve di pesce. 

Se non invertiamo questa tendenza entro il 2048 nei mari e negli oceani potrebbero non esserci più tutte le specie marine che conosciamo; questo scenario apocalittico e allarmante – dipinto da un team internazionale di ecologisti ed economisti – è basato su dati scientifici. Il problema? Troppo sfruttamento che non lascia il tempo alle specie di “sostituire” gli individui pescati con nuovi nati e conduce progressivamente all’esaurimento delle specie.

Per ovviare a questo problema si è pensato che la soluzione potesse essere l’allevamento ittico, ma questi allevamenti oltre che essere una crudeltà per gli animali, sono una minaccia altrettanto grave all’ambiente. Siamo quindi di fronte ad un ciclo di sofferenza e distruzione che sembra non avere fine fino a quando il consumo di pesce non calerà. 

Quanto pesce peschiamo e mangiamo, in numeri?

Secondo la Fao la produzione mondiale di pesce si attesta intorno alle 171 milioni tonnellate (tra pescato e allevato), e il consumo pro-capite di prodotti ittici è in costante aumento, parliamo di circa 20,2 kg a persona. Un cittadino dell’Unione europea ne consuma in media 4 kg in più rispetto alla popolazione mondiale, superando la soglia dei 24 kg e gli italiani consumano circa 25 chili di pesce all’anno.

L’insostenibilità di questo sistema è evidente, una situazione che la Fao definisce “preoccupante”. La pesca eccessiva costituisce una minaccia non solo per la popolazione marina, ma anche per la salute dei fondali e l’equilibrio degli ecosistemi. 

Ed uno dei fatti più inquietanti è che più del 10,8% delle risorse ittiche pescate a livello mondiale sono catture accessorie e scarti: ovvero animali che vengono accidentalmente pescati per poi essere scartati. Più di un pesce su dieci viene prelevato accidentalmente e scartato a causa della specie di appartenenza o delle dimensioni non adatte per il mercato.

Pesca o allevamento: l’impatto ambientale non cambia 

A soffrire per il consumo di prodotti ittici non sono solo i pesci allevati o pescati: una vittima di questo meccanismo è proprio l’ecosistema marino. 

I danni provocati da anni di pesca intensiva sono ormai di dominio pubblico: la distruzione dei fondali marini e la conseguente progressiva diminuzione delle riserve ittiche naturali presenti nei nostri mari. 

Non molti però sono a conoscenza dell’impatto ambientale degli allevamenti ittici. Questi infatti rilasciano nell’ambiente che li circonda enormi quantità di rifiuti: cibo, escrementi, batteri, antibiotici ed altri composti chimici come i disinfettanti. Questi rifiuti intossicano il mare, i terreni e di conseguenza la fauna e la flora che circonda gli impianti ittici, con gravi ripercussioni sull’ecosistema e sulla salute degli uomini impegnati nella pesca. 

Negli allevamenti intensivi di specie carnivore, oltretutto, si utilizzano enormi quantità di “pesce da foraggio” e di farina e olio di pesce per l’alimentazione degli animali. Naturalmente questi pesci arrivano dalla pesca intensiva, e vanno quindi a incrementare l’effetto dannoso di questa pratica sui fondali marini, mettendo a rischio le riserve naturali di pesce. Un vero e proprio ciclo distruttivo, da cui nessuno esce vincitore.

Chi paga il prezzo più alto di questo sistema? 

I primi a pagare il prezzo del continuo aumento della domanda di prodotti ittici sono proprio i pesci e tutti gli altri animali marini pescati e allevati. 

Gli scienziati ormai hanno provato che i pesci provano dolore proprio come tutti gli altri animali terrestri, ma proprio come per gli altri animali allevati a terra non esiste una legge ad hoc per la loro protezione e per i pesci non sono previste nemmeno le norme minime durante la fase di macellazione, come per esempio l’obbligo di stordimento: i pesci vengono semplicemente abbandonati ad agonizzare e morire di asfissia, sia sui pescherecci che negli allevamenti. Essi vengono infatti tolti dall’acqua e lasciati a morire nelle reti, o sui ponti delle navi o sul ghiaccio delle cassette per il trasporto… una pratica terribile che provoca loro un incredibile dolore che si può protrarre per ore.

Troppo spesso non pensiamo a cosa possa voler dire per un pesce essere strappato alla propria libertà, esattamente come succede per tutti gli altri animali allevati a scopo alimentare come galline, mucche, vitelli, polli, maiali, pecore e conigli.

I pesci sono creature del mare, una dimensione apparentemente lontana dalla nostra, dove tutto funziona un po’ al contrario. Non formulano suoni che riusciamo a sentire – ma emettono, invece, una serie di richiami e ronzii che gli umani non percepiscono.

Se i suoni non vengono in nostro aiuto, basta guardarli quando vengono tenuti fuori dall’acqua, osservare le loro bocche spalancate e i loro occhi per capire che anche loro provano un tormento oltre ogni misura. Se i pesci non hanno voce saremo noi a dargliela: da anni Animal Equality lavora per mostrare quello che accade ai pesci pescati in mare, negli allevamenti ma anche nei macelli e continueremo a farlo, proprio nelle prossime ore rilasceremo nuove immagini che svelano ancora una volta l’orrore dell’industria ittica.

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