Un futuro senza pesci?
Ogni anno preleviamo dai nostri oceani tra le 90 e le 100 milioni di tonnellate di pesce.
Se non invertiamo questa tendenza entro il 2048 nei mari e negli oceani potrebbero non esserci più tutte le specie marine che conosciamo; questo scenario apocalittico e allarmante – dipinto da un team internazionale di ecologisti ed economisti – è basato su dati scientifici, il problema? Troppo sfruttamento che non lascia il tempo alle specie di “sostituire” gli individui pescati con nuovi nati e conduce progressivamente all’esaurimento delle specie.
Quanto pesce peschiamo?
Secondo la Fao la produzione mondiale di pesce si attesta intorno alle 171 milioni tonnellate (tra pescato e allevato), e il consumo pro-capite di prodotti ittici è in costante aumento, parliamo di circa 20,2 kg a persona. Un cittadino dell’Unione europea ne consuma in media 4 kg in più rispetto alla popolazione mondiale, superando la soglia dei 24 kg.
In Italia il consumo pro capite di pesce è in costante aumento e negli ultimi anni è salito del 4%, arrivando a 31,1 kg.
L’insostenibilità di questo sistema è evidente, una situazione che la Fao definisce “preoccupante”. La pesca eccessiva costituisce una minaccia non solo per la popolazione marina, ma anche per la salute dei fondali e l’equilibrio degli ecosistemi.
Ed uno dei fatti più inquietanti è che più del 10,8% delle risorse ittiche pescate a livello mondiale sono catture accessorie e scarti: ovvero animali che vengono accidentalmente pescati per poi essere scartati. Più di un pesce su dieci viene prelevato accidentalmente e scartato a causa della specie di appartenenza o delle dimensioni non adatte per il mercato.
Il prezzo che pagano i pesci
I primi a pagare il prezzo del continuo aumento della domanda di prodotti ittici sono i pesci. È ormai scientificamente provato che questi animali provano dolore ed altri stati d’animo, ma spesso ce ne dimentichiamo e tendiamo a non considerarli degni di compassione quanto gli altri animali.
Come nel caso di tanti altri animali sfruttati dall’industria alimentare, non esiste una legge ad hoc per la loro protezione e per i pesci non sono previste nemmeno le norme minime durante la fase di macellazione, come per esempio l’obbligo di stordimento: i pesci vengono semplicemente abbandonati ad agonizzare e morire di asfissia, sia sui pescherecci che negli allevamenti. Essi vengono infatti tolti dall’acqua e lasciati a morire nelle reti, o sui ponti delle navi o sul ghiaccio delle cassette per il trasporto… una pratica terribile che provoca loro un incredibile dolore che si può protrarre per ore.
Cosa possiamo fare per i pesci e per i nostri mari?
Cosa fare per invertire questa terribile tendenza? Per fortuna, possiamo fare tanto, anche nel nostro piccolo. Scegliere di consumare sempre meno – o non consumare affatto – il pesce e altri prodotti ittici è un primo passo che ognuno di noi può compiere, ed è la prima cosa che ognuno di noi può scegliere di fare per aiutare gli oceani: lo stile alimentare che adottiamo, infatti, è una decisione importantissima che influisce in modo diretto sul clima, sugli animali e sull’ambiente.
Non è solo la pesca a mettere a rischio i pesci e l’intero ecosistema marino. La domanda sempre in crescita di prodotti ittici ha spinto la crescita del settore dell’itticoltura, il sistema di allevamento intensivo dei pesci che ha un impatto incredibile sugli animali e sugli ecosistemi marini. Scopri di più sull’itticoltura nel nostro articolo “Cibo per i pesci; il ciclo distruttivo degli allevamenti ittici per gli animali e il nostro pianeta”.